martedì 30 ottobre 2012

PSICOGEOGRAFIA PORTAMI VIA

Studio degli effetti che l'ambiente geografico esercita sul comportamento umano. Strumento di analisi psicogeografica è la deriva, intesa come attraversamento di vari ambienti, senza meta e con interesse per gli incontri”.



Quando si torna da un viaggio, da un periodo di mesi (o anni) vissuti in un posto prima sconosciuto, ti inizi a porre alcune questioni basilari: Mi ha cambiato questa esperienza? E se sì, come? Perché mi avrebbe dovuto cambiare? Dipendeva da dove sono andato? Dalla ggente che ho incontrato sul mio cammino? Chi sono? 'Ndo vado? Che faccio? Dio è la salvezza? La risposta dentro di me è sbagliata? A STRONZI!


Al di là del fatto che sono appena tornato in terra natìa, non per molto, queste domande di filosofia spicciola, questi inutili pipponi esistenziali che mai porteranno a nulla di buono, mi hanno sempre accompagnato.
Ma, più che altro, prendendo anche spunto dalla definizione di Psicogeografia (ok, riduco studi e studi e studi ad una definizione che utilizzo un po' come minchia mi pare), mi hanno sempre accompagnato altre domande, più specifiche:
chi sarei ora, in questo preciso momento, se fossi nato in un altro luogo? Se fossi cresciuto in un altro ambiente? Se avessi frequentato altre persone?  Se non coniugassi bene il congiuntivo? Se non avessi conosciuto e vissuto con la più grande comunità di italiani nel Mondo, gli Andriesi?

proprio lui

Tanto per cominciare, non parlerei andriese (a volte mi parte in default, a volte mi scambiano per uno di loro, a volte ho crisi d'identità) e non avrei, ora in questo preciso istante, sulla mensola sopra la mia testa, un dizionario italiano-andriese (l'inquietante realtà è che tale Riccardo Cotugno, non so se parente di Toto, coadiuvato dalla Forni Editori di Bologna, sia riuscito a pubblicare questo piccolo Bignami murgiano di color celeste), trovato da qualche parte, in qualche intercapedine di muro della mia vecchia casa bolognese, magari vicino all'intercapedine dove si narra sia sparito anni fa un furetto ("la leggenda del furetto scassacazzi sparito nel nulla").


"U'iandrU'iandrU'iandr!"
Sapete che significa petresòine? EH? Significa PREZZEMOLO: “Detto di persona che si caccia in conversazioni, affari, ed altro senza essere invitato”.
Non so a cosa mi possa servire tutto ciò, ma per anni sono stato plagiato.
Mi hanno costretto a vedere spettacoli dialettali al cui confronto il Finlandese è una lingua comprensibile, sentire tutti i cori della Curva Nord della (fu) Fidelis Andria, assistere impotente a retrospettive degli idoli regionali Toti&Tata, ma anche a film e spot doppiati in dialetto (ammetto che, in verità, le ultime due cose mi divertono ancora oggi).
Provate voi a cantare 127 Abarth degli Oesais a memoria, poi ne riparliamo.


Tutto questo preambolone, perché è tempo di bilanci, sempre 'sti mini-bilanci di 3 mesi in 3 mesi.
La mia vita sta diventando una sorta di trimestre scolastico.
Ogni tot di settimane (di solito 13/14), di ritorno da qualche esperienza/palliativo (data dalla depressionedanonlavoro, descritta nel link da Valerio Mastrandrea) non so in quale parte del globo, non so a fare cosa, mi ritrovo come in un incontro del liceo tra prof e genitori, in cui io sono i Miei e la mia coscienza/bilancio dell'esperienza sono i professori:
- allora come mi va, come mi va il cellone della casa, lei è il professore della materia “a quanto è servito il 450esimo stage”, sì?
- Si, sono proprio io in carne e coscienza/bilancio. Mah guardi gli ultimi mesi non serviranno praticamente ad un cazzo, però suvvia, ha conosciuto gente interessante, fatto belle serate, lasciato bei ricordi, ecc, ecc. Certo signò non mi parli di lavoro che sennò le devo fà una pernacchia in faccia.


Granada non mi ha cambiato. Proprio no. Oramai il mio essere è così (non) definito che non ha certo bisogno di essere cambiato.
Però, in un certo senso, mi sento riaffermato. Mi sento riaffermato in quello che ero, mi sono dimostrato che sono ancora capace di fare, dire, baciare, (farmi) apprezzare, emozionarmi per cazzate e non emozionarmi per cose serie. Ridere del nulla e salutare un bambino che ti sorride dal finestrino del filobusse ricambiandoti il ciaociao alla Teletubbies.
Per un po' di tempo mi ero perso, non ero io. Mi sono ritrovato.
Granada è stata come una spingitrice di cavalieri, solo che in questo caso non spingeva cavalieri o subbaQQUI di Guzzantiana memoria, ma solo me stesso.
Mi ha portato, psicogeograficamente, alla deriva senza un meta.
Dovreste vedere solo il percorso fatto per non arrivarci, alla meta, e capireste.
Quasi la stessa metafora usata da Valdano su Juan Roman Riquelme:
"Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un'autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi."
Ecco, se dovessi fare un paragone estemporaneo calcistico/geografico, Granada è un po' Riquelme: apparentemente indolente, lenta, ma con scorci visivi e di vita abbaglianti e irripetibili.
Granada mi ha rimesso in moto, come l'Argentina un anno fa. Poi mi ero fatto ingolfare per l'ennesima volta.
Ora non succederà più.

Peccato sia già finita, cazzo sì, se acabò.
La cosa brutta (brutta, boh, forse è positiva) è che a tutto ciò mi sto abituando.
Mi sto abituando a raccontarmi in poco tempo, ad affezionarmi in maniera fine a sé stessa, all'idea che certe facce a me care le vedrò “a tempo”, agli arrivederci, agli addio, ai “ma sì ci vediamo, ci sentiamo, oh non facciamo che non ci vediamo a Capodanno”, all'andarmene quando inizio a sentire un luogo come casa mia.
Mi sto abituando ad arrivare in un posto già sapendo che me ne andrò presto.
Mi sto abituando a vivere intensamente 6/7 mesi all'anno, per poi vivermi gli altri in attesa.

E quindi niente, di nuovo ai box, aspettando la prossima chiamata.
L'importante è non rimanere troppo fermi, mi dico.

Ma stavolta non mi faccio bloccare.



venerdì 19 ottobre 2012

ESPERIMENTO – IL CINICO INCONSAPEVOLE E IL PIGRO CONSAPEVOLE

Prima ho visto i Testimoni di Geova, due sciure, che diffondevano il verbo di negozio in negozio.
Mi fanno tenerezza i Testimoni, le dù signore erano pure simpatiche.
Ho appena preso il Vivin C e il paracetamolo mi fa avere sbalzi d'umore.
Credo di essere un cinico inconsapevole e un pigro consapevole*.
Passo anni a far credere, inconsapevolmente, a chiunque che sono chiunque (sono stato definito “silenzioso”, “introspettivo”, “coglione”, “estroso”, “profondo”, “geniale”, “incapace”, “superficiale” e mille altre aggettivi a caso, tra di loro contraddittori) e a stare con tipe solo per pigrizia. Non amore, non stabilità, pigrizia.
Sono inconsciamente bipolare allora? Riesco a dimostrarmi mediamente interessante, mediamente interessato, mediamente abile a parlare con ogni tipo di persona in ogni tipo di situazione. Non mi sbilancio e sono mediamente tranquillo e simpatico, mi sbilancio per dimostrarmi “che mica sempre non mi sbilancio” e faccio macelli. Quindi rimango bello beato nella mia pigrizia.
Ho letto “Il metodo sticazzi” due volte, sono cinico, sì sì non me ne frega nulla di quello che mi gira attorno.
Sono anni che mi metto con tipe che mi stavano e stanno fondamentalmente sul cazzo (chiaramente i primi periodi non mi stavano sui maroni), non le sopportavo durante la relazione, non sopporto l'idea che ci ho passato del tempo (così tanto) insieme.
Provo terrore a pensare di sentirmi chiamare, ancora, con soprannomi scemi e fuori luogo, essere, consapevolmente, alla mercé di qualcuna o a farmi tirare, ancora, ovetti Kinder (che poi ho mangiato durante il tragitto verso casa) appresso per le scale perché suppostamente ho guardato le tette alla tua coinquilina.
Fa figo stare male, il personaggio maledetto e dolcemente ingenuo che cova rancore ché “non me lo meritavo”. Ho fatto finta, inconsapevolmente, di soffrire per crearmi belle storie profonde da raccontare ai futuri sintomi di accidia. Ho sempre conosciuto in anticipo la fine di ogni rapporto, l'ho sempre procrastinata per ignavia e per uscirne pulito (e quando non lo ero io, pulito, sono tornato indietro sui miei passi e ho riiniziato tutto da capo).
La merda sei tu, mica io.
Inconsapevolmente, faccio uscire il peggio da qualcuno che non stimerò mai.
Se ti entro nel Facebook, consapevolmente, e vedo che mi dici stronzate da anni, se so, per testimonianze dirette, che sorridi per indorarmi la falsità pura e inaspettata, per poi scriverti “ehi, so che sei una tenera canaglia ma ti amo lo stesso”, però intanto tra le righe dico “sei una subdola troia approfittatrice e mi stai profondamente sulle palle” per farmi poi lasciare e avere la scusa e l'alibi per stare male, qualcosa non va. Sono pure consapevole all'istante che non va.
Però sai che bello raccontare a distanza di anni, che “erano in gamba” e che “in fondo sì, in quanto persone in gambissima, si realizzeranno nella loro esistenza”.
È la sottile linea che passa tra l'istinto di auto-distruzione e quello di sopravvivenza alle persone di merda che incontri sul tuo cammino.
L'ho passata oramai. Macché. Biascica docet.
Sono pigro, aspetto tempi migliori, che tanto il tempo guarisce le ferite e il tempo migliora le cose e il tempo è il migliore amico dell'uomo insieme al cane.
Ma va, alle persone che mi hanno preso per culo, di base, augurerò sempre un fondo di male, godrei a vederle soffrire, non fisicamente, sia politically correct chiaro, ma che almeno prendano schiaffoni dalla vita. O da me, per lo meno ( no dai, questo no, sono non-violento per scelta e per necessità, tra un paio d'anni mio nipote di quasi 6 anni vivrà di prepotenze verso il sottoscritto. “Zio dammi 50 euro sennò ti corco di mazzate”. Vabbè, amo mio nipote, glieli darei a prescindere).
F per Vendetta.
Al massimo, questi sentimenti si trasformano, in seguito, in sincera e vera indifferenza.
La ruota gira però.
Io stesso mi meriterei odio eterno da molte persone. Inconsapevolmente, ho ferito, sono stato menefreghista per pigrizia e ho aspettato che gli altri si muovessero per me.
Ho fatto la merda, mi sono pentito di questo e il Karma di Earl mi punisce ciclicamente.
Che poi sono io che mi punisco da solo.
Ho maltrattato persone che sinceramente stimo (ma con la stra-grande maggioranza di loro, in fin dei conti, sono sempre stato eticamente corretto, non seguendo il concetto astratto di etica, ma seguendo principi innati di stima e amicizia, anche se l'amicizia non è innatamente spiegabile, ok troppe parentesi, ma si dovrebbe capire il concetto), della maggior parte dei maltrattati non me ne può fregare de meno. Alcuni, a ragione mi considerano in fin dei conti uno stronzo, alcuni li ritengo stimabili (anche) perché passano sopra brutti fatti e mi danno fiducia e stima incondizionata, chissà poi per quale motivo.
Non te lo meriti, cazzo, abbi la voglia di tirarmi una testata per educare 100 e 1000 me stessi futuri ed eventuali (di cattivo gusto la metafora “facista”, I know).
Il segnale, quello che mi farà rendere conto della mia (quasi) totale completezza e crescita, arriverà quando apprezzerò, inconsapevolmente, Tutti questi Esseri Umani con la E e la U maiuscole.
Non sono sociopatico né intrinsecamente bipolare.
Mi piace veramente fare il coglione, le battute, far ridere le persone senza secondi fini, mi piace che la gente mi sorrida senza motivo, quando sono a mio agio scherzo a motore, credo che l'aforisma/citazione/frase che più mi si confà sia “castigat ridendo mores”.
Vivo tra l'ironia e la serietà e faccio nascere interrogativi del tipo “ma stai a scherzà?” “Ma certo che sto a scherzà”. Non scherzo. O forse scherzo.
Sono curioso, inconsapevolmente, di vedere come la massa risponde a quello che sono, cioè un sacco di tipologie di umanità che camaleonticamente faccio mie e do “in pasto” al prossimo.
Certo, poi una tipologia spicca tra le altre. Io sono lo “scemo” o il “personaggio”, ma soprattutto il cinico inconsapevole e il pigro consapevole.
Inconsapevolmente. Perché ho un mio giudizio su tutto, ma mi adatto eccessivamente al Mondo. Non si tratta nemmeno di essere falsi o meno. La sostanza di quello che sono e comunico agli altri si nota, è la forma che mi frega.
Si mormora che sono le persone che incontri nella tua vita che ti rendono quello che sei. Bella stronzata, in apparenza. Ma ho avuto a che fare con soggetti di tutti i tipi.
E io, come chiunque altro, siamo tutti i tipi di umanità. Non c'è unidimensionalità in Noi human beings.
È la relatività baby.
Ho un ciuffo non tagliato, alla Alfa Alfa, sul mio capocchione rasato. E per pigrizia non lo aggiusto.
Tanto mi distingue.
Scrivo frasi estemporanee come chiosa, tanto fa figo.

(Belle le ultime 10 righe di fiera delle banalità, mi sono accorto che uso 4 parole per tentare di spiegare concetti filosofici millenari, troppo retorici e prolissi, che bisognerebbero essere sviscerati almeno in 7/8 pagine. No. Troppe.)

* non tutto ciò che ho scritto corrisponde a verità

venerdì 5 ottobre 2012

BRIVIDI


Più che un post è una sorta di sondaggio.
Ieri, seduto sul bus fermo al semaforo, vedevo un signore asiatico, un sosia del Maestro Miyagi, seduto sul marciapiede opposto. Ritraeva, portandosi dietro pennelli e colori a tempera, la Cattedrale, posta davanti a lui. Si muoveva molto lentamente, osservava il profilo che lo sovrastava, ci rifletteva quei 3-4 secondi, e poi, sempre con una lentezza esasperante e ritmata, aggiungeva dettagli alla sua opera, in via di definizione. Ho avuto un brivido, dopo molti mesi.
Sono anni, decenni direi, che ho brividi. Non di freddo. Brividi positivi, che mi fanno stare, per pochi secondi, in pace con me stesso.
Mi succede di rado, per l'appunto. I primi anni non capivo il perché, poi ho focalizzato alcuni “rituali” ricorrenti.
Succede quando guardo qualcuno concentrato nel fare una qualche azione. Cioè, non qualunque cosa, semplicemente noti qualcuno assorto, preso completamente da quello che fa. Boh, è strano, o almeno percepisco un qualcosa di profondo nell'altro.
Non c'entra la figa, almeno in questi casi.
In treno, per esempio, accade che ho brividi guardando qualcuno che legge o studia, incurante della gente intorno. Un sintomo è leccarsi le dita per voltare pagina.
Altro esempio: leggere a bassa voce, quasi sussurrando, un libro, che sia un testo d'esame o un romanzo, soprattutto se l'altra persona è l'unica, oltre me, nella stanza. Forse in questi casi mi sento inconsciamente più coinvolto, sinceramente non so.
Non è qualcosa di voluto, non mi fisso volutamente su dei particolari in modo che mi provochino sensazioni positive, è qualcosa di psico-motorio e insondabile.
Le azioni dello scrivere, dipingere, leggere sono sicuro me li provochino. Credo di avere una sorta di empatia innata e consciamente immotivata, con la Letteratura e la Pittura (non ho una particolare passione per l'Arte, cioè sì, ma molto da uomo-comune, disegno come un bambino di 8 anni).
Altra costante è la lentezza. Una sorta di ritmo costante nel ripetere l'azione, un rituale, come ho già scritto svariate righe più su.
E qui mi chiedo: capita a qualcuno oltre me? Ho questa fascinazione, questi brividi solo io?
Se fosse così, bella storia.