lunedì 25 novembre 2013

PARTENZE

Non lasciarti sgomentare dagli addii. Un addio è necessario prima che ci si possa ritrovare. E il ritrovarsi dopo momenti o esistenze, è certo per coloro che sono amici.”
Richard Bach



Avevo un frigo con tante calamite, di tante città diverse, comprate da tanti diversi coinquilini che erano stati nelle tante città diverse per vacanza, amore, piacere, Erasmus (quindi scopare).

Un giorno, il giorno di ordinaria follia, chiusi gli occhi e ne estrassi una.
La calamita, secondo la sua propria natura, mi avrebbe “attratto” da qualche altra parte.
Australia.
Minchia troppo lontano.
Ne riestrassi un'altra.
Australia.
Ma quante calamite dell'Australia ci sono? Due su quaranta. Delfino Destino?
Vabbè ritento, pensai.
Kazakistan.
Me sa va bene Australia và, dall'altra parte del Mondo e con lo scarico che scarica al contrario.

Dovevo scappare, dovevo provarci e avevo paura di farlo.
La mia vita scorreva barcamenandomi da una precarietà all'altra: lavoricchiavo, amavo e odiavo, vedevo gli stessi luoghi, le stesse persone e abitavo oramai da anni in un casa che aveva le sembianze di una fermata di un bus.
La casa era la fermata e il bus un'altra meta.
Tutti lo prendevano in orario tranne me.

Mi cacavo sotto solo all'idea.
Allora perché lo faccio? Per necessità, voglia di stabilità, spirito d'avventura?
Per paura, pura paura.
Ché, arrivato a 30 anni e più, l'asticella, in mancanza d'altro, bisogna pur alzarla.
E ricominciare da zero per qualcuno è da stimolo e fomento, per me è solo terrore dell'ignoto, del non capire una parola (visto che il mio inglese è a livello Aldo Biscardi).
Ma, si sa, da denghiu nasce thank you e poi anche i più fessi ce la fanno, perché io non dovrei?

Lessi da qualche parte che la paura serve per essere esorcizzata, sconfitta.
D'accordo in parte, se una paura la sconfiggi, ne arriva subito un'altra: per esempio, e spero sia il mio caso, quella di tornare.
Ho solo bisogno di cambiare paura. Di poterne gestire un'altra, di un'altra sfida cacante sotto.
E poi, diciamocelo, fa figo dire “mollo tutto e vado in Australia”.
Nel mio caso no. Nel mio caso mi sento in colpa di non aver trovato l'Australia in Italia, di dover abbandonare affetti, abitudini sociali, gastronomiche, economiche; e poi c'è la routine puttana, che odio e di cui nello stesso tempo non posso fare a meno. Se non altro perché la conosco.

Ora sono in aeroporto.
Aspetto la chiamata del mio volo di duemila ore con 4 scali incorporati.
Nei giorni scorsi ho salutato tutti, ho festeggiato l'addio, o dato l'addio ai festeggiamenti, non l'ho ancora capito.
Appuntamenti su Skype e su Whatsapp e “dai che sto un annetto e poi torno”, che cosa è un anno se non un apostrofo rosa tra le parole chi cazzo e me l'ha fatto fare.

Non so dove dormirò (sì, in ostello per i primi giorni, ma poi), non so di cosa camperò, non so chi conoscerò, non so cosa farfuglierò, non so nemmeno dove mi stabilirò. E se poi mi trovo male, e se poi me ne pento?
Dai andrà bene su su, ho tanti contatti di amici di amici di non amici di conoscenti che sicuramente mi faranno sentire come a casa mia.
Ma io a casa mia stavo demmerda.
Non ne esco più.

Hanno chiamato il mio volo, mi devo imbarcare.
Ora scappo scavalcando con un doppio salto mortale rovesciato il metal detector, oddio devo andare al cesso, mi scappa da cacare, la pipì, ho le mie cose, cazzo sono un uomo non posso averle.
Va bene, spegni il cervello stronzo.

Mi imbarco. Mi sistemo nel mio posto.
Togliendomi la giacca, noto nella tasca interna un bigliettino.
A parte il fatto che ignoravo di avere una tasca interna nella giacca, è datato 26 novembre 2013, oramai anni e anni fa.
È di una persona speciale, la mia migliore Amica, emigrata proprio quel giorno, proprio in Australia. Lei aveva le mie stesse paure, le stesse paranoie.

Ciccio,
non aver timore,
ce la farai nel modo in cui ce l'ho fatta io,
dimostrando a tutti che bella persona sei,
sii sempre te stesso.

Nuni"



Ciao Amica,

a presto

lunedì 11 novembre 2013

I LOVE THIS GAME?

Salerno, 10 novembre 2013

Si è toccato il fondo? Si è arrivati ad un punto di non ritorno? Hanno vinto i “cattivi”? Ha perso il Calcio?

Andiamo con ordine, che sennò 'ste prime quattro frasi non significano una ceppa: la fredda cronaca.
Ieri a Salerno è andata in scena l'ennesima farsa dello sport italiano: si presume che alcuni presunti ultras/tifosi della Nocerina abbiano intimato/chiesto (minacciato? Ad ora non si può chiarire) ai giocatori della propria squadra di non scendere in campo.
Il motivo? Il divieto di poter assistere, dopo 20 anni, al derby Salernitana-Nocerina di Prima Divisione (ovvero la serie C), in (non) ottemperanza alla famigerata Legge Maroni, quella della tessera del tifoso. I tifosi nocerini erano tesserati e, teoricamente, avrebbero potuto assistere al match.
Invece, il prefetto di Salerno ha deciso il contrario: partita alle 12,30, così quei mangioni che non si perdono un pranzo dei tifosi della Nocerina avrebbero disertato in massa. Ma mettiamo che qualcuno decida di saltare il pranzone domenicale: ora? Mmmm, dai vietiamola completamente, sticazzi del derby.

Risultato? Alcuni tifosi della Nocerina si presentano sotto l'albergo della squadra, per:
- secondo la stampa, minacciare di morte calciatori, allenatore, magazziniere, ecc, 'nsomma la società, intimandole di non scendere in campo;
- secondo gli stessi ultras nocerini, chiedere al mister e alla squadra un gesto eclatante, che facesse parlare l'Italia intera e che scuotesse il sistema. Un gesto che desse voce all'ingiustizia subita dai tifosi a cui preventivamente e senza alcuna prova d'appello è stata negata la trasferta".




Risultato/2? Dopo una lunga trattativa fra staff tecnico e prefetto, si decide di entrare in campo con mezz'ora di ritardo. Entrare per modo di dire, visto che al primo minuto l'allenatore della Nocerina opera già i tre cambi e, nel breve volgere di quindici minuti, cinque giocatori si “infortunano”, neanche avessero incontrato Chiellini, Pasquale Bruno e Pablo Montero tutt'insieme e tutti incazzati abbestia, costringendo l'arbitro a sospendere la partita.

Apriti cielo.
Raffica di daspo (ovvero il divieto di accedere alle manifestazioni sportive), che di solito vengono dati a comando e a capocchia, e facili, retoriche e moralistiche polemiche di giornalisti, politici e soloni/dirigenti dello sport italiano, noti (almeno due categorie su tre) per essere un fulgido esempio di moralità e legalità.

Ora, le autorità competenti giudicheranno chi, come, quando ha sbagliato/commesso eventuali reati. Fatto sta, che alcune riflessioni mi sembrano d'obbligo:
- a cosa minchia serve la tessera del tifoso, se non a “discriminare territorialmente” il tifoso non violento, che rappresenta il 95% del totale (ditemi voi se ha senso che io, in quanto non residente nella provincia di Roma, non posso vedere Roma-Napoli) e a fare salti mortali per comprare un biglietto (quando, vent'anni fa, mio padre la domenica mattina, valutava il tempo e decideva così all'improvviso, di portarmi allo stadio, facendomi un inaspettato e bellissimo regalo);
- chiudere stadi e curve, vietare trasferte è veramente utile? No, perché la maggioranza degli scontri è FUORI gli stadi e quei pochi scontri che ci sono all'interno accadono a prescindere dalla legge Maroni. Se proprio avessero voluto, nulla avrebbe vietato agli ultras della Nocerina di andare lo stesso a Salerno a scontrarsi con i corrispettivi salernitani;
- l'utilità di parlare, anacronisticamente e in maniera grossolana di “modello inglese”, da esportare in Italia. In Inghilterra tre anni fa è morto un tifoso all'interno di uno stadio, per le percosse subite da tifosi avversari: Lo sapevate? Beh, sapevatelo. Sapete ora com'è fatto una stadio inglese? Un teatro all'aperto: prezzi esorbitanti, non puoi alzarti, non puoi imprecare troppo, non puoi fumare, non ti puoi portare il panino con la frittata da casa.
Gli scontri e la violenza non sono spariti di colpo (certo loro sono “partiti” da una tragedia immane, che è stata Hillsborough), ci sono ancora, meno pubblicizzati. Inoltre, gli stadi non sono sempre pieni, come pensiamo in Italia. Ma poi avete presente uno stadio italiano, paragonandolo poi a livello infrastrutturale ad uno inglese?
- Secondo voi gli italiani non vanno allo stadio per la violenza? Sapete che fino agli '90 la serie A era il campionato con più spettatori nel Mondo? C'erano scontri? Certo.
Eppur si andava. A nessuno viene in mente che le Tivvù, gli scandali a cadenza (come minimo) biennale e la deriva megalomano-economica siano, se non altro, concause?
- Negli ultimi, il campionato con più spettatori in Europa è quello tedesco, la Bundesliga.
A prescindere da una gestione molto più equa di questioni economiche, tipo diritti tv e altre menate del genere, in Germania i gruppi organizzati molte volte agiscono CON le società calcistiche (una cosa del genere ce la sogniamo), organizzano iniziative lodevoli come questa qui  e non subiscono restrizioni di alcun tipo (anzi molti stadi, anche nuovi, hanno previsto al loro interno una zona in cui chi vuole se vede la partita in piedi, old style).
- Lungi da me difendere chi adotta la violenza come veicolo per ottenere un risultato, ma se quei 1000/2000 fossero andati a Salerno sarebbe successo questo bordello? Fermo restando che l'eventuale stupidità violenta si sarebbe potuta concretizzare anche per strada.

È un calcio maaaaalaaato, ma le cause non sono riconducibile solo agli ultras.

C'è dell'altro che ci (mi) fa sperare in bene.

Roma, 10 novembre 2013

C'è chi, con occhi vergini e senza pregiudizi, allo stadio ci va, per la prima volta.
Mio nipote, quasi 7 anni, con quell'incoscienza tipica del bambino, che nemmeno sa se e quale squadra tifare. Va con lo zio (l'altro, io purtroppo non c'ero) a vedere Roma-Sassuolo.
Al di là del fatto che con quel gol demmerda all'ultimo minuto, speriamo di non “averlo perso” a favore di una squadra strisciata (ma vabbè, lo ameremmo comunque), un bambino non vede il marcio del “calcio moderno”, né la violenza degli ultras.

La mia prima volta allo stadio fu a 5 anni, Roma-Ascoli 0a0, giocata a Pescara. Forse ero troppo piccolo per ricordare nitidamente tutto. Ho flash, di quel giorno.
Ricordo tutto della mia prima volta in un grande stadio: Cecoslovacchia-CostaRica, ottavi di finale dei Mondiali del '90. Ricordo la mia prima volta all'Olimpico, a 9 anni, Roma-Pescara: ricordo la meraviglia di quelle astronavi, ché a me sembravano astronavi prese dai cartoni animati dell'epoca, trapiantate nel mondo reale.
Ricordo che vedendo tutto quel giallorosso, tutto quel bordello, i canti, il tappeto verde che si parava dinanzi alla mia di allora personcina, rimasi così, stile Paul da piccolo di Febbre a 90°

Ecco, non proprio così.


Nello specifico, non so cosa rimarrà a mio nipote di questa giornata. Se avvierà una qualche passione calcistica o meno, se la ricorderà come la ricordo io.
So solo che una certa passione, il calcio in questo caso, se ti prende quando hai gli occhi del neofita, del bambino, non ti lascerà più.
Sei affascinato innatamente da un qualcosa che non sai spiegare, perché nemmeno te la poni la domanda. Ti piace e basta.
Il pallone che rotola, le imprecazioni per 90 minuti, i cori, le esultanze, le delusioni (per la cronaca, la mia prima volta all'Olimpico finì con una, come direbbe Bruno Pizzul, inopinata sconfitta) l'amore per il rosso e il giallo che si giustappongono (per me) magicamente.
Lo ami, a prescindere dal male che si annida in esso.

E a chi dice “questo non è il mio calcio”, rispondo non che “il calcio è di chi lo ama” (sicuramente non lo ama la Tim), ma che “il calcio (o la passione X) lo ami e basta, senza sapere cosa significhi né l'amore, né le parole sky e champions league”. Senza a starci a ragionare su.
E continuerai a seguirlo, lamentandoti del suo marcio, ma rispettandolo.
Anche quando scuoti la testa e pensi, anche per uno sbagliato secondo, “così non va”.
Ché ce l'hai dentro, che tu lo voglia o no.


                                                     Classicone

mercoledì 6 novembre 2013

GLI AMICISTI ANONIMI – OPORTO DI MARE (SECONDA PARTE)


QUI la prima parte del non sarà un'avventura. Se non l'avete letta, leggetevela. Se l'avete letta e non vi ricordate o vi ricordate male, boh fate un po' come ve pare.


- In Portogallo fa freddo!
- Minchia dici?
- Ho visto ilmeteo.it. IImeteo.it non sbaglia mai. Copritevi!

(cit. anonimo smanettone de ilmeteo.it)


Si apre il portellone dello SperochenonmischiantoAir.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA cos'èèèèèèè?!
Si chiama sole, si chiama caldo. Siamo a fine gennaio e ad Oporto ci sono 25 gradi e un sole che spacca pietre che se sei bello nemmeno si fanno tirare, le pietre, da quanto, per l'appunto, è bello stare lì a crogiolarsi al sole.

Vedete, noi Amicisti ci vestiamo un po' a capocchia: quando nevicherà noi ci prepariamo alle Hawaii, quando farà un caldo che si schianta ci mettiamo in modalità “Totò e Peppino e la Malafemmina”.

"Ma non avevi detto che era freddo ad Oporto? Boh"

E mo? E mo ci svestiamo. Via i colbacchi, via i passamontagna, via i cappellini con le caprette che fanno ciao, via le orecchie da alce che Basetta, da quella fatidica notte della sua laurea, non aveva più tolto.
- Nou! Ragazzi! Nou! Ahia lasciatemi souno un ricordo di quella fatidica notte!
- Ma se non sai nemmeno che significa fatidica! E damme ssè cazzo de 'recchie!
Riusciamo a strappargliele con la forza. Basetta piange, rincuorato da Paperella, che scatena una tempesta di coccole sul malcapitato.

Stranamente, ci fanno uscire dall'aeroporto senza controlli dei bagagli.
Qualcuno si stranisce, qualcuno addirittura si offende.
- Esigo che mi controlliate! Lei non sa chi sono io!
Nessuno ci caca di pezza, nemmeno un doganiere, nemmeno un celerino.
Tempo al tempo.

Mesti, lasciamo la Paucarrozzella sul ciglio del terminal arrivi dell' “Aeruporciu Internasionhao do Bacalhau”, promettendole che al ritorno la andremo a prendere.

C'è la metro. Ammortepresidente, fa gentilmente i biglietti (i biglietti? Errore nostro, abbiamo fatto i biglietti, QUESTA VOLTA) a tutti, la Paperella paga ridotto.
- Senza sordi no' 'ssi 'ndi cantanu Missi.
Nemmeno i biglietti, cacciate i soldi straccioni.
Ma, Porca Troia, Sinagoga ha lasciato il borsello a casa. Lui è il prototipo di vacanze ad impatto zero: viene con zero euro e impatterà schiaffi ad ogni cosa che dobbiamo offrirgli.
Il nostro appartamento è in pieno centro, fermata Pratelhau.
Il tempo di risalire le scalette della metro e capiamo una triste verità: Oporto è fatta SOLO ED ESCLUSIVAMENTE DA SALITE. Non saliscendi. Solo salite.
Qualcuno si dispera per aver lasciato gli scarponcini da trekking all'aeroporto.
Qualcuno non dispera ché Battisti, non Cesare, urlava al Mondo le discese ardite e le risalite. 'Tacci tua Lucio.
Nella fattispecie il saggio degli Amicisti, Ammortepresidente: si u pò piari l'irtu pii u pinninu.

Qualcuno già si lamenta: Killahcchiotto ha bisogno di tritoni. Si aspettava un comitato di benvenuto già fuori la metro.
- CHE SCHIFO OPORTO! CHE PALLE! IO DEVO FUMARE! DOUVE SOUNO I TRITOUNI? EH?
Ferma passanti a caso, che naturalmente non capiscono una mazza di dialetto delle Murge. Ergo, devi aspettare Killah (arriverà anche il tuo momento, e che momento).

Su una, ça va sans dire, salita con pendenze vicine allo Zoncolan, si erge il nostro appartamento.
Che bel quartierino tranquillo, caratteristico, con gli Azulejos capretti che fanno, pure loro, ciao.

Seconda triste verità: non avremmo mai immaginato che di lì a poche ore il quartiere, il quartiere Pratelhau, si sarebbe trasformato nel Carnevale di Rio. Eravamo capitati nel centro della movida di Oporto.

Ci rinfreschiamo, ci docciamo, ci cambiamo, ci fomentiamo, ma, soprattutto, ci rifocilliamo.
Di fronte al nostro nidoddammore amicista, notiamo un bar, il Cafè Ceuta, di quei bar che non je dai due lire, di quei bar che ogni turista schiferebbe.
Noi lo scegliamo per questo.


Alfio

Incontriamo un uomo, che dire un uomo, un mito, che avrebbe cambiato per sempre la nostra concezione del portoghese medio: Alfio.
Un ometto secco secco, alto, canuto non nel senso di cane, con i baffetti e lo sguardo alla Lee Van Cleef, ma con i capelli impomatati a mò di Julio Iglesias.
Per tutti e per sempre Alfio.

"Superbocche per tutti!"

Entriamo timidi, ci sediamo.
Alfio è già lì con le Supebock, subito ribattezzate per semplicità e goliardia Superbocche, e 6 piatti di Bacalhau alla braghense.
Parla solo portoghese stretto, ma sembra capirci anche solo con un cenno d'intesa. Boh forse anche qui giocano a tressette, o três-sete.
Serafico, ci intima in non so quale dialetto lusitano di mangiare che è prondo e si fredda e poi non è buon più e devo buttarlo.
Ad ogni Superbocche scolata, basta proferire la parola ALFIO! e lui si fionda, raccontandoci nel frattempo aneddoti che noi, per buona educazione, facciamo finta di capire.

A rifocillarci ci siamo rifocillati, pure troppo.
Salutiamo Alfio, dopo una lauta mancia di ben 7 cents, promettendo anche a lui che saremmo tornati. Alfio ci abbraccia, ci dà un bel cinque alto a tutti e ci lascia il numero di telefono semmai avessimo bisogno durante la notte di un'endovena di Bacalhau.

Jamaica

In un batter d'occhio, è già orario d'aperitivo.
- Ho letto sulla Guide Minchiard che in Portogallo ad orario aperitivo c'è il DELIRIO!

Il Deserto del Nevada.
All'imbrunire, è questo il desolante panorama che ci offre Oporto.
Non troviamo un cristiano nemmeno a pagarlo.
Al ché, anche perché Killahcchiotto ha bisogno dei tritoni, scendiamo su (qui anche le discese paiono salite, ricordiamolo), verso il lungofiume.

Troviamo un bar aperto.
Il proprietario è Stephan, che stupito da cotanta presenza umana, inizia a gigioneggiare, diventando per tutti o' gradassu.

- PORTO? LIKE JAMAICA!
- THIS IS THE BEST COCKTAIL IN THE WORLD!
- PORTUGUESE WOMEN ARE THE MOST BEAUTIFUL IN THE WORLD! (Mondo attento, il Portogallo ti batte su tutta la linea)

(scusate l'inglese, ma il tono delle conversazioni era questo)

Nei successivi 15 minuti, nell'ordine, succede questo:
  • o' gradassu ci porta 3 cubate da un litro che nemmeno Gennarino ai tempi d'oro in Piazza Verdi se sarebbe bevuto;
  • o' gradassu ci presenta delle amiche, a suo dire “le perle del Portogallo”, che avevano dei baffi che Alfio sarebbe schiattato dall'invidia, guarda;
  • o' gradassu ci trova i tritouni, per la gioia di Killah (da quel momento in poi Oporto sarebbe diventata BELLISSIMA!);
  • o' gradassu ci sussurra Policepolicepolice!, quand'è che si palesano due guardie con al seguito rottweiler cercaddroga.

Bravo lo scemo.

Immagini del questore di Oporto che stappa una bottiglia di Porto alla faccia di quei poveri fessi italiani, beccati con le mani nella marmellata, si palesano nelle nostre menti
Immagini di noi, poveri Amicisti, nelle carceri portoghesi alle prese con un altro tipo di bacalhau, si palesano nei nostri orifizi.
La paperella si fa pesce e ammutolisce. Noi ci facciamo paperella e pesce e ammutoliamo.

- Si hai a serpi nò cercari a raghatina, ci ammonisce Ammortepresidente.

Seguono 10 secondi di vera tensione.
DOOOOONG!
Il rumore del tocco di fumo (è una storia romanzata, ripeto, è una storia romanzata), lanciato all'indietro e alla cieca, risuona sul bidone della monnezza, vibrando nell'aire, silenzioso e fadesco, lusitano.

Chiudiamo gli occhietti, aspettandoci il peggio.
"Io 'un sento nulla"
Che, per nostra fortuna, non arriva.
Quei tontoloni dei cani non hanno fiutato nulla.
Abbiamo acquistato anche fumo romanzato demmerda.
Bene così.

Giubilo e gioia per lo scampato pericolo, segni della croce e ringraziamenti a JAH. Bomboklat per tutti.

Ricapitolando: siamo in Portogallo da 4 ore e abbiamo già rischiato l'arresto.

Love Boat

La tensione si smaltisce scrofanando qualunque cosa.
Cerchiamo un posto dove mangiare. Escludendo Alfio che alle 9 di sera è già in fase REM, dirottiamo la nostra attenzione verso il locale più pacchiano di Oporto: il Love Boat.
Ovvero, un ristorante in cui i camerieri sono vestiti da personale di bordo Costa Crociere, il cuoco si chiama Schettinhu e tardone bionde ossigenate si dimenano in trenini all'ultimo sangue tra i tavoli.

Perfetto, il luogo adatto a personcine del nostro rango. Ammortepresidente, l'amante del mare profumo di mare e grande fan dell'omonima serie, già è tutto un fremito.
Se non che, dando un'occhiata al menù, notiamo prezzi esorbitanti.
Ma, Riporca Troia, Sinagoga non ha il borsello e non è che il nostro sia in grado di sostenere tale esorbitante spesa gastronomica.

Optiamo, dunque, per la tattica USCITA A TRENINO DI SOPPIATTO che consiste in:
far finta di lasciarsi trascinare da meu amigu sciarlibraun;
innescare trenini irrefrenabili adescando ignare signorotte dell'Oporto bene;
ergo creare confusione;
mimetizzarsi nella selva di permanenti che si crea dalla precedente confusione;
sgattaiolare fuori non appena il trenino passa nei pressi dell'uscita.

"SCAPPA, CRISTO!"

Ce l'abbiamo fatta!
Ma, Ririporca Troia, abbiamo lasciato Ammortepresidente, che nel frattempo aveva ordinato di nascosto un'orata, nel ristorante. O per meglio dire, c'è Ammortepresidente in ostaggio del personale di bor... dei camerieri.
Urge trattativa.
Il cuoco indica Basetta, vuole lui per trattare.

IPOTESI DI TRATTATIVA CON TRADUZIONE ITALIANO-PORTOGHESE ANNESSA:
- Lei è quel genio che si è fatto mettere sotto da un'autoambulanza il giorno della sua laurea?
- Si.
- Mi può fare un autografo?
- Come no!
- Scriva: a Schettinhu con simpatia, l'uomo con le orecchie da alce.
- Basta così?
- Si, se lo riprenda per cortesia che sta importunando i clienti con proverbi in una lingua sconosciuta ed ancestrale.

A quanto pare, abbiamo un negoziatore con le basette.

E siamo a quota due pericoli scampati.

Piume di strutto, meteorismo anti-panico e comitato anti-degrado pratelhau

Fame.
E in una località di mare, dove si mangia il pesce più buono d'Europa, noi dove andiamo? In un rosticceria: O zozzonhu.
Vassoi di carne grigliata, patate fritte e pane imburrato. Alle 11 di sera, per stare leggeri e goderci la notte oportense, oportina, opor..., di Oporto come le pazze.
Devo ammetterlo, ho furoreggiato. Mi sono anche fatto dare una cannuccia per gustarmi meglio lo strutto imburrato. Ché sono un buongustaio, mica seghe.
In tutto ciò, Paperella è rimasta fuori per protesta.

Ma, devo ammetterlo, non sono io colui che ha sofferto (o fatto soffrire, dipende dai punti di vista) di meteorismo anti-panico.
Non dirò chi è stato. Lui e gli altri lo sanno.

Fatto sta, che spostandoci verso il nostro quartiere, scopriamo con nostro sommo stupore, che eravamo nel Pratelhau. Nel delirio puro.
Vie, piazze e strade murate a perdita d'occhio.
Le file per guadagnarci un cocktail, una birra o chessò un'acqua brillante erano interminabili.

Ed è qui che lo scoreggione anonimo si è immolato per la causa, immolando nello stesso tempo anche la causa.
Scoreggioni anti-panico facendo finta di inviare Sms e locale sgombrato in 30 secondi 30 sìori. Anche il resto degli Amicisti, però, è sgombrato per la puzza.
Risultato: nessuno ha bevuto e nessun buttafuori ci ha fatto entrare additandoci come o maestros italianos do flatulhencias.

Mogi mogi, ci ritiriamo nelle nostra magione.
Oooo finalmente si dorme, che giornata sfiancante che è stata, ma che belle avventure da raccontare! Yuppi!

-OOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!! E CHE CAZZO È STO CASINO?!?! QUI C'È GENTE CHE VUOLE RIPOSARE! VEFFENGHIUL!

Killahcchiotto, non riuscendo a dormire per via della movida, istituisce seduta stante il Comitato anti-degrado do pratelhau, di cui è presidente supremo.
In un attacco d'arte, realizza una striscione, attaccato in seguito sul balcone con su scritto:

O POMBO DE SUAS MÃES!!! (vedasi traduzione, prego)


(continua?)

Saluti da Oporto