martedì 28 ottobre 2014

DUE O TRE COSE CHE SAPEVO DI LEI (tipo gli occhi alla Diane Keaton)

...e poi è tutto un ricordare le cose meglio di com'erano davvero di quando avevamo qualche anno di meno...”

Vado al cesso và.
Maremma se me scappa, veloooce, ops, scusa, scusami, permesso, sei in fila per il bagno no, tu nemmeno e sono arrivat... minchia 200 persone.
E ora come fò?
Leggo gli articoli attaccati fuori la porta scorrevole del bagno bramato, articoli che già conosco a memoria, tipo quello, del Manifesto, sul posto occupato anni fa a Cosenza.
Ogni tanto mi chiedo chissà che fanno a Cosenza, chissà se quel posto occupato è ancora occupato a Cosenza, chissà se in questo momento il cesso di quel posto occupato a Cosenza è occupato.

Dai dai, sbrigatevi, jam su.
Esce dal bagno una tipa: capelli neri rasati ai lati, coda a chignon (fino ad un anno fa la chiamavo a chiffon, dire che secoli addietro ce l'avevo pure io), un po' punkettina, piena di anelli, di cui uno al naso, e bracciali, con gli occhi tristi, all'ingiù, di quelli che piacciono a me, come Diane Keaton.
Per il sottoscritto, uno dei termini di paragone per definire il concetto di bellezza: gli occhi alla Diane Keaton.
Mi guardo, la guardo, minchiaguardi.


prego, notare particolare occhi

Ciao... (esitazione alla oddì come cazz si chiama) Fabio.
Uè ciao grande (e qui potrei scrivere fiumi di parole sull'uso dell'aggettivo “grande” come sostitutivo, a volte, del nome), come va?
Bene dai, tu?
Tuttappò.
(silenzio)
Io esco che devo raggiungere gli altri, ciao.
Ciao.

Chi sei? Come sai il mio nome?

La guardo allontanarsi schivando la folla: ha un piercing sulla nuca (il cosiddetto “cozzetto”), una sbarra metallica.
Il piercing al cozz... alla nuca, gli occhi alla Diane Keaton, il dialetto centro-italico non abruzzese (ché per me esistono il dialetto abruzzese e il non dialetto abruzzese, cioè il resto delle lingue e dei dialetti della Terra).

Se tre indizi fanno una prova, provo a spremermi le meningi, non troppo che sennò mi piscio sotto.

Il ricordo, rimosso dagli anni, dal poco tempo in cui l'ho vista e dal fatto che lei è “leggermente” cambiata (cambio di taglio, colore capelli, stile, chilo nel senso che avrà preso quindici chili), riaffiora.

Tu non sei una cosa seria, ma nemmeno una semplice scopata.

Che sarebbe come a dirsi non sei né carne né pesce.
Il veganesimo applicato all'amore/sesso.

Ma io veramente voglio solo trombà, pensavo.
Però, in fondo, per quei due mesi di pseudo-quasi-ogni tanto-rapporto, mi piaceva.
L'ho conosciuta per strada, davanti al Contavalli, parlandole non so per quanto tempo di un film che lei stessa mi aveva appena nominato: Rushmore.

yeaaaaah!

UUUUUUUUUUUUUUUU rushmore, graaande conosci rushmore il film più sconosciuto di Wes Anderson! E vai lì a parlare di trama, di Bill Murray, di Jason Schwartzman, dei movimenti di macchina, di tutta la filmografia di Wes Anderson, insomma a ruota libera, con gli occhioni (esclusivamente i miei) sognanti.

Ecco, lei invece mi aveva nominato Rashomon di Akira Kurosawa.


ops, scusa

Ah.
Scusa.
Non sai chi sia Wes Anderson.
Scusami tanto, non volevo, scusami.
A Gondry come sei messa?
Ghostbusters? L'omino dei marshmallow?
Il Verdone anni '80? Niente?
Vabbé almeno Vacanze in America che te faccio tutto il repertorio de Don Buro?

che te ridi, nun conosce nemmeno te

Io avevo una sciarpa viola, di quelle pesanti, di lana, fatta a mano. Me l'aveva appena prestata un mio amico troppo sbronzo per portarla e troppo impegnato a dire puppami la fava a tutti i passanti del centro (sempre per via della già citata sbronza).
Io la prestai a lei: Non la voglio. Tienila, fa freddo, tira un bella zizzola. Che? Un venticello bastardo. Non mi serve comunq... vabbè dai dammi 'sta sciarpa.
Quando vuoi rivedere qualcuno, o tu o lei, "lasciate" qualcosa all'altro, facendolo sembrare casuale: un orecchino, un indumento, un I-Pod, il portafoglio, una sciarpa.
Più in generale, un pretesto.

L'ultima volta, era prima delle vacanze di Natale, che dovevamo vederci io ero uscito con una mia amica.
Andò a finire che l'amica mi disse che non voleva essere mia amica ma deppiù, io rimasi come un baccalà e non sapendo scegliere, nemmeno per quella sera, fui scelto e bona.
Mi misi con l'amica (amica amica, scusate il francesismo, stocazzo), in un rapporto un filino burrascoso che per un po' mi ha fatto penare che nemmeno una sceneggiata napoletana con lanci di piatti napoletani e urla napoletane, guarda.

Era, tutto sommato, un insignificante e giovanile sliding doors
Se avessi avuto il coraggio di dire all'amica ah, hai capito che mi vuoi bene, mmm, sissì nonnò, vuoi stare con me, mmm... Ah, dai, vvvabbè... si è fatta una certa, tante belle cose, vado che mi devo beccare con Diane Keat... con una tipa, ciaone, bella per te, avrei evitato mesi di litigate, urla, pipponi, porte spaccate e uova di pasqua sfasciatemi in testa (davvero).

Ma non è questo il punto: il punto (o il pretesto) è che sto diventando uno di quei (sospirone) trentenni che non si ricordano le tipe con cui usciva (ma anche gente ics che frequentava) e dice ah ma tu sei quella con cui sette anni fa so' uscito mezza volta e con cui stranamente mi ero fissato, dichiarando a mezzo stampa dopo dieci minuti di conoscenza che ti avrei sposata e avremmo avuto tre splendidi bambini solo perché sapevi a memoria la scena delle olive che sso' greche di Mario Brega in Borotalco?

Sono quasi arrivato, sempre a livello di metafore filmiche, al Grande freddo, a Compagni di scuola, al momento nostalgia, al tempo che fu e non torna più.

S'invecchia e non si matura, e tutti, in più, mi dicono che sono la memoria storica di tutti i conoscenti (la parola esatta è scassaminchia). La dimostrazione è che nel blog scrivo, di solito, di ricordi, aneddoti e cacate fatte nel passato.
Come fai a ricordarti di quel pranzo del 25 marzo del 2005? Boh, e come me lo ricordo, ricordo le minchiate mie, dei miei amici e le ripropongo diciamo almeno, uhm, 50 volte all'anno, anche agli sconosciuti.
Ciao, piacere, la vuoi sentire la storia di quando mi sono cappottato con un carrello della spesa a tutta velocità in via Zamboni? No? Allora tutto è iniziato il 16 febbraio del 2006...

Il tempo di rinsavire dai miei pensieri e scopro che la fila, prima di 200 unità, ora è passata a 400 unità. Mi sono passati avanti i baristi, quelli che erano prima in fila con me e je riscappa e financo i netturbini.

Vado a farla fuori che sennò poi mi tocca scrivere un post su quando mi sono pisciato sotto in un bar à la page di Bologna.

Vicoletto, olè, aaaaaa, liberazione.

Ma non stavi facendo la fila al bagno?
È lei che va via e continua a camminare.
C'era fila, mi stavo pisciando addosso.
Bonjour finesse. Ciao scemo.
Ciao.

Però mi piaceva, con quindici chili in meno, ma mi piaceva.


Bonne nuit finesse.



sabato 9 agosto 2014

SLOW BEACH

Ora

...F-F-F-F-F-ORZAAA RAGAZZI FATE L'AMORE NON FATE LA GUERRA! IL VOSTRO DJ HERPEEEES DIRETTAMENTE DA CASTIGLIOOONEEE MESSEER MAAARINOOO VI FARA' SCATENAR.. EHI BELLA BIONDINA, SAI COME DICE IL PROVERBIO? BELLA BIONDA BEATO A CHI SE LA... E IL-IL-IL FINAAAALE NON SI PUO' DIIIREEE. FORZA A TUTTI I MASCHIETTI O-LE-LE O-LA-LA FACCELA VEDE' FACCELA TOCCA'!...”

Ma dove sono capitato, mi chiedo.
Ma uno si può rilassare, mi chiedo.
Ma dove minchia è finita la gende normale, mi chiedo.
Pensavo di essere in Abruzzo e invece mi trovo nell'Abruzzo che scimmiotta la Romagna che scimmiotta Ibiza, non quella spagnola, ma un'ipotetica Ibiza al Mare in provincia di Vibo Valentia (col massimo rispetto per la movida della costa vibonese).

Leggerò un po' il libro. “Ma che cazzo te leggi, ci sta il karaoke, troppo fregno!”
Proverò a fare un bagno, via giù. “Quale nuotata, devi stare sul bagnasciuga seduto sulla sdraio con il mojito in mano e fare commenti senza senso sulle pseudo-fregne che passano!”
Prenderò il sole. “Che te metti la crema?! Ahahaha come li vicch!”
Magari mangio qualcosa. “EH? Un pacchetto di patatine e una birra 9 euro?”
Facciamo un sabbione (leggasi partita di calcio)? “Che? Ma tu si scem, c'è l'aperitivo on the beach con spritz a soli 6 euro, cubiste scazzate e musica improbabile a tutto volume che te rincojonisce in mezzo minuto, non lo possiamo perdere!”.
Farò un pisolino. “FFFFFFORZA! VIETATOOO DORMIREEEE! TUTTI A BALLAREEE COL SINGLE PAAARTY! TUTTI I SINGLE DEVONO B-B-B-BALLARE E CONOSCEREEE SEDUCEEENTI DONZELLEEEE!” 
Ma io voglio dormì!
N-N-N-OOOON SI PUOOOOOOO!”

Condannato al divertentismo coatto (qui la parola coatto, che sia aggettivo o sostantivo, è da declinare in tutti i suoi significati).
Vorrei un po' di pace, vorrei farmi li cazzi mia, ma... “Ma a Ibiza fanno così!”
Ma a me Ibiza fa cacare.
Mi sento fuori luogo, fuori contesto, un pesce fuor d'acqua perché in acqua c'è un dj che pompa musicademmerda e un vocalist che urla frasi sconnesse come un ossesso.
Non è mare, non è più il mio mare.
Come nostalgicamente l'ho sempre ricordato.

Prima

Che poi quando ero piccolo e leggevo, anzi divoravo, Topolino su Topolino, l'idea iconica d'estate era la pubblicità del Calippo (e non fate battute, cretini) su quel giornalino: semplicemente delle palme, una spiaggia, il mare e quella ancestrale conoscenza di posti esotici, delle Maldive, Seychelles, Polinesia, insomma Tropici e Caldo, senza Messico, senza nuvole.
Io invece andavo al Lido Riccio.

Mi sa che ho sbagliato pubblicità


Mano fuori dal finestrino, acchiappando il vento, guardo dal basso del mio metro e un barattolo il cielo terso e sempre più blu, che ai tempi non era una canzone ma una tipica domanda scassaminchia per mia madre: “mamma perché il cielo è sempre più blu? Mangia scimunito!” e via coppino in testa.
Non mettere la mano fuori il finestrino! Che poi passa una macchina in senso contrario e ti stacca il braccio e poi lo andiamo a raccogliere a Cuppitell!”

Bravissimo! Quello è un cavallo! Un punto per Antonfabio!
Pfffff, vabbè, mi accontenterò del cielo e di parlare a vanvera, facendo domande ed interventi a vanvera: guarda una pecora, un cavallo, guarda la casa di quello dell'Inghilterra che viene in vacanza qua come si chiama? Robert. Ah, vero, Bomber. Dov'è l'Inghilterra? È bella l'Inghilterra? Ci andiamo in Inghilterra?, perché sbagliano a mettere il volante in Inghilterra? guarda un'Alfa Romeo (non so il motivo, ma da bambino conoscevo tutte le automobili, ora faccio fatica a distinguere una Punto da una Lamborghini), guarda la vite la vite e la vite l'è bela.
Lo sguardo di mia madre dice tutto. O per lo meno "come si spegn' fijim".
Poi crollo, colpito da narcolessia infantile e me schioppo un 10 minuti di sonno, a mo' di siesta. Sarà che la Volkswagen Scirocco arancione di Zio Emilio mi culla e mi inonda di brezza e di estate, facendo leva sul nome ventoso.



Arriviamo al nostro stabilimento, un hotel, l'Hotel Katia, che ha più un nome da motel di battone sulla strada della bonifica, ma tant'è.
Ho il mio secchiello e la mia paletta, gli altri tre, mia madre, mio zio e mia zia tutto il resto, tipo un punto vendita Giochi Preziosi, da portare preferibilmente con carriola.
Ombrellone.
Domandone.

Posso fare il bagno?

No, devi aspettare tre ore tre (anche se hai mangiato mezzo tozzo di pane), devi digerire ché l'acqua è fredda  e poi arriva al pancino e ti senti male, come è successo al (fantomatico) cugino di P'ppin di lu Firrar (nome fittizio) che è dovuto andare il bagnino a riacchiapparlo come un pescatore di frodo acchiappa un cannolicchio sotto la sabbia.
Insomma, fin dagli anni '80, c'è un virtuale cugino scemo di qualcuno (sempre lo stesso) termine di paragone dell'inettitudine alla vita. Lo stesso cugino scemo che ha perso l'occhio per un pezzo di carta sputato dalla penna, che si è tagliato con le forbici con la punta arrotondata e che una volta è morto.
Non sapendo quanto siano tre ore, gioco creando piccoli cantieri per la costruzione di castelli e edifici che hanno tutti una particolarità: crollano al primo muro abbozzato.
Nulla di diverso da un vero cantiere italico.
Oppure c'è l'opzione fare il buco per l'acqua, ovvero dover scavarescavarescavarescavarescav'resc'v're per trovare l'acqua. Di solito scavo così tanto che mi vengono a riprendere speleologi di fama internazionale. Più semplicemente mi alzano dalle orecchie, un'orecchia per parte, mi' madre e mi' zia e giù mazzate e minacce sulla possibilità di futuri bagni in mare.
Posso fare bagno? No. Ora? No.
Pffff. Và, giochiamo con i mammocci (pupazzi) dei Cavalieri dello Zodiaco, inventando la saga dei “Cavalieri dello Zodiaco VS i cavalieri della costellazione dell'arrosticino incattiviti dall'aspettare di farsi il bagno”

Mannaggia sanda! Vulem fa lu bagn!

Oppure ci si ingegna e si cercano bambini che giocano. Io non chiedo di giocare ché mi vergogno e aspetto fermo come uno stoccafisso guardando a testa bassa la sabbia e facendo il bimbone che più speciale non si può.
La scena che si crea è pressapoco questa (trentesimo secondo di video):



Posso far... NONE(il none in abruzzese è il rafforzativo del no).
Segue sguardo da Gatto con Gli Stivali.
Forse mammuzza cede.
Dai corri fino a lì e torni qui, fallo per 10 volte.
Dove il lì corrisponde a circa mezzo chilometro di distanza.
Il piccolo me, paffutello e già (in)sofferente a qualunque sforzo aerobico, corre corre corre come un piccolo Foresto Gampo dell'Adriatico, ansimando e rischiando un prematuro infarto, ché a quanto pare sarebbe più figo morire a quattro di spade faccia sulla sabbia colpito da collasso cardiorespiratorio che in mezzo all'acqua sotto i colpi di una congestione (“Sà mio figlio è collassato in spiaggia. Eroe! Vs “Mio figlio ha avuto una congestione in mare. Che mezzasega!”).

Bagno bagno bagno bagno bagno

Quando riesco a finire la mezza maratona avrei bisogno di sali minerali, invece è l'agognata ora del bagno. Da fare con l'acqua che ti arriva sugli stinchi, i “nooooo nell'acqua alta” (il concetto di alto è molto aleatorio) e con la supervisione di mamma e zia che alla prima infrazione urlano il tuo nome, facendo sapere a tutta la spiaggia che hai osato bagnarti i femori.
Finisco il bagnetto e si mangia o focaccia/pizzetta, comprata poco prima al forno, o gelato Motta, cercando di ottenere il maggior rapporto quantità/prezzo.
E poi si sta sotto l'ombrellone, in silenzio, senza trambusto, godendo del mare, senza selfie alle gambe/wurstel, senza dj e vocalist che te rincoglioniscono e il divertentismo forzato che ne deriva.

Il mare, la spiaggia, erano una sorta di spontaneo rifugio del corpo e dell'anima.
Cerchi pace, la trovi, ti ristori, ricominci in seguito con la vita non estiva di sempre.
Poi ovvio che non tutti vogliono rilassarsi al mare, che non a tutti faccia schifo la combo dj-vocalist-musica del cazzo a tutto volume.
I gusti son gusti.
I miei son questi.
Si sta perdendo (non dappertutto) il mare come lo conoscevo io.
Quello "lento".
Lo slow beach.
Tiè senti che neologismo.

sabato 26 aprile 2014

IL 25 APRILE, PRATELLO

Che poi sta festa me la ricordo dalle elementari.
Si inaugurava la lapide dei caduti del mio paese.
C'era la mia classe, c'era la classe di mia madre, allora ancora maestra, c'erano tutte le classi, ovviamente.
C'è anche il nonno lì”, mi disse mia madre.
Mio nonno, suo padre, è morto nel 1943, a causa di una mina, mentre lavorava la terra, mia madre aveva due anni.
Nonno Nicola è per me la foto sulla sua tomba e lo sguardo di Mamma che lo prega in silenzio e che ancora oggi lo va a pregare.
Siamo stati sfollati io e tuo padre, ma poi la guerra è finita e siamo tornati a casa”.
La casa non c'era più, non c'era nulla, un paese e un territorio distrutto, devastato, da bombardamenti e combattimenti casa per casa, terreno per terreno. Fino a pochi anni fa c'erano ancora le cave dove ci si rifugiava durante i bombardamenti.

Mio padre me l'ha sempre raccontata la guerra, i suoi ricordi, Fritz il soldato tedesco con cui aveva fatto amicizia, le SS che erano teste de cazzo e menavano, nel migliore dei casi, botte da orbi, così, perché erano e rimarranno teste de cazzo, lo sfollamento nell'entroterra abruzzese, il freddo, la fame, i soldati alleati nascosti dalla mia famiglia, il papà adolescente che tagliando per fratte aiutava i suddetti soldati a scoprire gli avanposti tedeschi.
La guerra l'ho avuta a casa.
E, mesi fa, per caso, su Rai Storia, ho visto un documentario su la guerra a casa mia, e c'era mi padre che raccontava e raccontava e io già le sapevo 'ste cose, ma mi commuovevano lo stesso.




Mi riprendo dalla sbronza della sera prima, bevo caffè, mangio, cazzeggio, ridormo, se non fosse che è il 25 aprile non uscirei.
Il punto è che il 25 aprile e voglio uscire.
Voglio andare al Pratello, mi voglio prendere una birra, stare dal pomeriggio a notte fonda a parlare, sentire musica, sentire i miei amici che mi dicono auguri! buona festa della liberazione!, sentire testimonianze di quel periodo, vedere mostre, vedere documentari, vedere tornei di briscola, parlare con perfetti con sconosciuti alla fila del cesso (e, nel caso specifico, non pisciare per strada che oggi non piscio per strada, oggi no), sentire il fricchettonismo maledetto mischiarsi con i vecchi partigiani con i loro fazzoletti, mano nella mano con i nipoti.
E immaginare che a quei nipoti raccontino quello che mio padre mi raccontava.
Educarli alla resistenza, educarli alla storia, la nostra storia, educarli al bene affinché nel futuro il bene si compia, in contrapposizione al male assoluto di quegli anni.
Si cresce così.
Io, senza quei racconti, non sarei quello che sono.
Non avrei lo stesso rispetto per concetti astratti come umanità, eroismo e coraggio.
Anzi, non avrei mai conosciuto questi valori.
Il 25 aprile, a Bologna, al Pratello, io commemoro, a modo mio, chiaro, questi valori.
Pure se gioco a briscola.
Pure se gioco a biliardino.
Pure se scherzo con gli amici che sono lì per lo stesso mio motivo. Commemorare.
Pure se nel frattempo vedo la Roma schiantare il Milan con uno dei gol più belli che ricordi.

Quel gol l'ha fatto Miralem Pjanic. E voi direte esticazzi so' calciatori i soldi viziati il suv le veline la bamba a lavorare andate a lavorare.
No. Miralem Pjanic è bosniaco, ed è cresciuto in Francia perché la sua famiglia è scappata dalla guerra nell'ex-Jugoslavia, una famiglia sfollata come la mia.
Miralem Pjanic è portatore sano di testimonianze di guerra, è stato educato come lo sono stato io.
Ha vissuto indirettamente la guerra e, idealmente, ha voluto omaggiare il 25 aprile con un capolavoro calcistico.
E lo so, il paragone è altamente blasfemo, ma quando Miralem mi ha serpentinaggiato tra le maglie rossonere io ho pensato questo.



Il 25 aprile è il veicolo per ricordarci che abbiamo una Storia Esemplare.
Di cui essere orgogliosi.



                          

venerdì 4 aprile 2014

DO YOU KNOW BERTINOTTI? UNA STORIA VALENCIANA

A me fa male Wes Anderson. Mi ha sempre fatto male. Mi ha dato un immagine distorta della vita.
In questa storia ci sono il romanticismo alla Wes Anderson, Valencia, il Vivident Xylit, Bertinotti Fausto e un quasi mio arresto.
Ma, fondamentalmente, è il racconto della passeggiata notturna più bella ed assurda della mia vita.

Guardo quella finestra al secondo piano da ubriaco.
Ah, che bello l'amore, che bello, la vita è meravigliosa, le rose sono in fiore e io sono davanti ad uno studentato dell'Università della Florida, proprio di fronte Torres Serranos, uno studentato megagalattico che spacca i culi a tutti gli studentati della penisola italica (no perché 'na volta ce so' pure entrato, Thanksgiving day, eh sfigati, voi l'avete mai fatta una festa del ringraziamento con degli ienchi? Io sì), alle 4 di notte, guardando una finestra chiusa, ma chiusa bene eh.

Aaaahh, sospirone.
Che bella l'America, che belle le americane. Che bello fare un serata così, parlando di noi, delle nostre vite, così diverse, ma così interessanti, guardandoci negli occhi, emozionandoci, confrontandoci sulle nostre storie di vita, sull'Italia, gli Iu-e-6, così, un po' brilli, un po' innamorati, dall'alcool, dalla vita, dalla giovinezza primavera di bellezza, come diceva nonnò.
E poi quel bacio, così appassionato, così bramato da entrambi, così magico, come questa notte autunnale valenciana.
Ah, se penso a queste ultime ore, ed io che guardo la finestra della mia futura moglie ammerrigana, futura madre dei miei sons, che mi ha sfidato e io m'a so' magnata, gnam.
Ah l'amore.

Ah, traduzione della serata appena passata per i non presenti in quella serata, ovvero tutto il mondo tranne me stesso:
incontro con americana per cui stavo sotto che cercava posto in cui fumare un narghilé, posto che solo io conoscevo;
trovato posto, il posto era chiuso. La faccio bere, spendendo tutta la borsa Erasmus nell'intento di farla ubriacare, non abbastanza a quanto pare;
entrato in un locale fighetto per farla contenta, con bottiglia di vodka (presa per il motivo di cui sopra) fatta entrare non so come (e vabbè le battute se sprecano a 'sto punto) e continuando a bere come non ci fosse una mañana;
accompagnata a casa, ovvero il suddetto fantasmagorico studentato floridese, con l'appoggio di tutte le amiche brutte americane che fomentavano l'accoppiamento tra di noi, giovani virgulti italo-americani;
Nun me guardà così, io ci ho provato
intortata per non farla subito scappare a casa, visto che lei era una mezza fricchettona democratica vegetariana maledetta, con argomenti come il Che, Fidel, la Crisi dei missili, Kennedy era una brava persona, no guarda il comunismo in Italia non è quello che pensi te come quello dell'Urss, io a Berlinguer ci voglio bene, Berlusconi fa schifo, ora c'è Bertinotti, do you know Fausto Bertinotti? (ora, io sfido a trovare una, e dico una sola, persona, che ci abbia mai provato con una tipa usando Fausto Bertinotti, per me, ad honorem, sono 96 minuti di applausi di fila).
La risposta è stata ovviamente no, le palpebre un po' ubriachelle un po' assonnate dicevano “ma te ne vai via di culo?”. Ergo, butto la lingua oltre l'ostacolo e le meno un ciuccione a sorpresa, con lei che ritraeva la testa all'indietro, non abbastanza ché c'era il muro dello studentato americano floridese fantasmagorico, anche il muro fantasmagorico ha 'sto studentato, sì.
Ri-ergo, dopo cinque secondi di bacio, sovviene e mi dice “no, non posso ciaociaociao buonanotte” e scappa dentro, a casa sua, la tro.. futura wife.
Io rimango lì imbambolato, più per la sbronza che per altro, ma mi piaceva pensare al fatto che sì daje sono innamorato e occhi a cuoricini e vacanze a Miami Beach a palle all'aria tutto a scrocco tutto pagato.
Erano i film di Wes Anderson che mi imponevano l'innamoramento.


Devo arrivare a Plaza Honduras, una bella scarpinata (Google Maps mi dice 3,9 km e 50 minuti a piedi e io dico minchia quanto ho camminato, visto che ho pure allungato).
Bene. Prima tappa, Pont de Fusta, un centinaio di metri, in slow motion, tipo Gwyneth Paltrow che scende dal bus nei Tenenbaum e Luke Wilson che te guarda, solo che io non sono Margot Tenenbaum e nun me fissa un cazzo de nessuno.
Inebriato, questo vero, dalla suggestione che in Erasmus devi vivere la conoscenza esotica dell'amore, il corteggiamento, l'innamoramento, lo scopamento.

Suggestione da Erasmus che, effettivamente ti fa vivere quel momento così, come unico nella vita, cioè per dire se passavo da ubriaco il Ponte Matteotti alle 4 di notte dopo aver preso un due di picche da una sboldra floridese me dicevo “ma porca troia per colpa de 'sta 'mbecille anche stasera seghe”. A Valencia no, a Valencia in Erasmus, e a ragione, sei felice, scemo ed inebriato.

Mi fermo a metà ponte, nelle orecchie questa canzone che posto qui sotto, che sento ogni giorno fino allo sfinimento.


Guardo il Turìa e penso: cazzo sei bella Valencia, stanotte poi.
Suona il cellulare. Sticazzi non rispondo.
Ah, l'amore.
Mi avvio alla cazzo di cane, senza meta, più o meno so la direzione, seguo la strada e vedo 'ndo mi porta il cuore.
Eh, 'ndo mi porta? Boh.
Cammino cammino e vedo palazzi e zone a me sconosciuti.
Arriva un messaggio:
A Frappa (soprannome dell'epoca) 'ndo cazzo stai. Se te stai a schioppà l'americana bella ppe' te, sennò viè a Pollo e Perolone (Calle Polo Y Perolon, via di locali erasmus, ribattezzata dalla cumpa simpaticamente così)
L'americana a quanto pare non me la sto schioppando, sarà sicuramente la madre americana dei miei figli italo-americani, ma no, a quanto pare no, non è qui con me in una via ics di Valencia a copulare selvaggiamente sospinta dall'amore.
Arrivo anche se non so 'ndo cazzo 'sto”.
Cazzo! Primado Reig! Questa via la conosco. Ce sono venuto ad un paio de feste. Ora, destra rotonda ancora destra Blasco Ibañez Polo Y Perolon. Ce l'ho fatta.

Ha-Ha-Ha-Hammarby!”
Sento cori da stadio in idioma a me ignoto.
Mi giro e vedo tre biondi di 2-metri-e-0-5 che, fomentati, e smanacciando a mò di coro della curva sud, mi si avvicinano.
Parlando in, poi lo scoprirò presto, svedese.
Sei di Stoccolma?
No, so' abbruzzes.
Do you know Abruzzo?
No.
Tra l'altro, una bellissima felpa
Vabbè, il nocciolo della questione è che pensano sia svedese per via di una felpa, comprata a Stoccolma, di una squadra di calcio, l'Hammarby (squadra sfigatissima, tipo uno svedese che va in Italia con la felpa del Chievo Verona e viene fermato a Catanzaro da tre ultras del Chievo).
Loro erano 3 dei 7 ultras totali dell'Hammarby.
Noooooo, sei un mito!!
Mi acchiappano e mi alzano dalle 'recchie tipo champions league e sono baci, abbracci, foto, selfies prima della moda selfie, gimme five all right, legen-wait for it-dary, genio, idolo, ti offriamo a bere, 'ndo vai, vieni con noi, andiamo a fregna, hai amiche meglio se italiane, ce le presenti, grande, idolo, tutta la notte coca e mignotte.
Sballottato da cotanto ingiustificato entusiasmo cerco di giustificare il mio stato emotivo “ma io so' innamorato, my future american wife of flo..”
Schiaffone in testa, grasse risate “mavatteneaffanculo!” (o almeno, me l'hanno detto in svedese, ma il senso penso fosse proprio quello).
Apposto, andiamo a Polo Y Perolon con gli amiconi ultras.
Avevano alcune birre, me le offrono, parliamo.
Il più silenzioso, o meglio, il meno esagitato dei 3, mi dice:
Sai, io sono famoso in Italia”.
Me lo guardo, con un misto di sufficienza e compatimento della mitomania.
Ah, bravo campione, sei forte!” (dentro di me pensavo: ma chi cazzo sei e perché famoso? Chi sei? Il cugino di Ibrahimovic?)
La fatidica frase che cambia le prospettive della serata, che mi ha permesso di conoscere il vip più vip della mia esistenza (e aggiungerei me cojoni che vip) è questa:
Ho fatto uno spot del Vivident Xylit, solo per il mercato italiano”.
Silenzio. Mi fermo. Lo squadro per alcuni secondi.
Mmma tutututu sei quello con i denti bianchissimi in Finlandia che je sparano nelle chiappe?” (detto in italiano)
Sì, sono io”.

                                                       Proprio lui

Si ripete la scena di cinque minuti prima, al contrario: mi butto addosso al malcapitato, urlando GEEEEENIOOOO!, cercando di buttarlo per terra e alzandogli le labbra per vedere se è vero che i denti dei finlandesi (in verità svedesi) sono bianchissimi.
In verità, in verità vi dico che nello spot c'erano effettoni speciali. I suoi denti erano normali, niente de che, bianchi ma non quel bianco fosforescente che al buio dovrebbe illuminare la via.
E quindi niente, il tipo del Vivident fa l'Erasmus con me, è svedese se non si era capito, studia boh, qualcosa, ha fatto quella pubblicità, interamente svedese, per caso, in quanto non attore professionista, la tipa dello spot a suo dire è una milfona e il fatto che l'ambientazione sia finlandese lo fa incazzare di brutto brutto eh.
Grande, non vedo l'ora di farlo conoscere a tutta la cumpa.
Arriva altro messaggio:
Aò, annamo ar Rastro che dovemo comprà du' bici. Raggiungici là. Ciaciacia.”

Il Rastro è quel mercato gestito per la maggior parte da zingari (gitanos), tecnicamente clandestino, che si fa il sabato notte a Valencia, di fianco lo Stadio Mestalla, pieno quartiere universitario.
Vendono di tutto: noi di casa abbiamo comprato ferro da stiro non funzionante, televisione 18 pollici non funzionante ed eravamo in trattativa per un frigorifero sicuramente non funzionante che però avrebbe dato un tocco chic all'ambiente domestico.
Il non plus ultra dell'offerta sono le bici rubate, di tutti i tipi, tutte le marche, tutti i colori, una marea di bici, mica il tossico che ti chiede per strada “oh, tipo, bici? Fumo? Keta? Hai spicci? Una sigaretta?”, nono, qui c'è professionalità.
Anni ed anni di sano mercato abusivo, che nessuno mai si sognerebbe di interrompere.
Fino a stanotte.

Arriviamo dopo circa venti minuti con i miei amici del cuore svedesi, il mercato è pieno ed in pieno fermento, come sempre.
Dei miei amici nemmeno l'ombra. Dove sono? Amiciii? Dai non mi fate gli scherzi che vi nascondete. Amici? Niente.
Mi giro e vedo gli svedesi buttati a pelle di leone su un gruppo di italiane che bevono in mezzo al piazzale e che guardano la mercanzia, non una metafora della mercanzia maschile, no, proprio quello che vendono i gitanos.
Provano ad attaccare bottone, con scarsissimi risultati.
Mi appropinquo alle tipe e esordisco con il solito ed inflazionato: “siete italiane?”
E loro con aria scocciata mi dicono che sì sono italiane in vacanza, di Barletta e che siamo il trentesimo gruppo di maschi non alfa infoiati che provano ad abbordarle. Poi io sono italiano, il che è peggio.
Il colpo di genio, in questo caso, è rivelare l'identità del noto attore di spot di chewing gum senza zucchero.
Ed è subito il Carnevale di Rio.
Le tipe impazziscono all'unisono, neanche andassi in giro con Brad Pitt, quello di Elisa di Rivombrosa che nemmeno mi ricordo il nome e Marco Borriello.
Oddio, moh, Rousa lo vedi? È proprio lui! Lo vedi! Mè è che emouzioune! Quando torniamo a Varletta lo dico a Pinuccia che quella mi schiatta d'invidia proprio!”.
Foto. Baci. Ammiccamenti vari.
Io ovviamente sono escluso, in quanto non attore di spot, dalla combriccola.
Il tipo sommerso (e non abituato, me sa) dall'affetto femminile italico, fa in tempo a dirmi “grazie! Grazie tanto! Non mi era mai successo! Grazie, grande! Ci vediamo settimana prossima alla Bodega Fila! Mi raccomando, ti offro a bere tutto quello che vuoi! Grazie graz..” e viene inghiottito dalle muliere sudiste.
(Non lo rivedrò mai più. Mai. Nemmeno per sbaglio).
Non so nemmeno il suo nome (e tutt'ora lo ignoro), ricordo solo le sue gengive e i suoi denti. Belli ppe' carità, ma non è che mi faccio mostrare le gengive da tutti i biondi simil-svedesi che studiano a Valencia.

Incontro, dunque, Amico Altissimo, unico amico della cumpa rimasto nella piazza.
E gli altri?”
Sono andati al pronto soccorso che la tua coinquilina è caduta all'indietro e si è spaccata la coccia”.
Dioboni.
Ennesimo messaggio sul cellulare:
Aò a Frappa, stamo ar pronto soccorso che 'a tu' coinqulina è caduta 'mbriaca all'indietro sbattendo la testa. N'te preoccupà, sta bene. Io stavo a parlà con una turbofregna svedese, ma ho dovuto accompagnare Coinquilina, mortacci sua!”
A quanto sembra, è la serata del gemellaggio sessuale Italia-Svezia, oltre che quella del gemellaggio (più che gemellaggio pare 'na parentela alla lontana), non sessuale, Italia-Usa.
Amico Altissimo mi convince a comprare una bici perché allora lui ne ha già una però la vuole cambiare quindi quella sua va a me e quella che compreremo va a lui. Insomma mi stupidisce di chiacchiere e accetto.
Andiamo, trattativa lampo, 20 euri e bici comprata.
Oh finalmente ho una bici anch'io, mi allontano dal piazzale fischiettando raindrops keep fallin on my head, direzione pronto soccorso.

Quando all'improvviso, rumore di sirene poliziesche, a tutto volume, 2/3 volanti più una macchina in borghese e mi ricordo pure la macchina, una Ford Mondeo grigia metalizzata.
Questa minchia di Ford Mondeo si dirige ad altissima velocità verso il sottoscritto, sottoscritto che guarda la scena a bocca aperta, come una baccalà, basito F4.



Il simpatico poliziotto (faccia di cazzo) frena ad un centimetro dal mio corpicione immobile a mò di statua di sale.
Deja la bicicleta!”
Lascio la bicicletta, la faccio cadere a peso morto per terra.
Cioè nonono, momento, momento, mooomento, momento.
Cioè fanno 'sto mercato da decenni, la polizia non se lo è mai inculato de pezza e quando fanno un retata, per altro molto spettacolare?
Due minuti dopo che io compro la bici.
(ancora oggi, pensando a quella scena, bestemmio in aramaico antico)
Il superpoliziotto mi prende sotto braccio e mi porta dai colleghi, cazziandomi neanche fossi un bimbone speciale che fa una marachella speciale:

Lo sai che non si rubano le bici?”
Sì ma io non l'ho rub...”
Potresti finire nei guai, lo sai?
L'ho comprata la bi...”
Di dove sei, eh? Rumeno? Tunisino? Marocchino?”
Abruz...”
Ora ti faccio passare io la voglia di rubare!”

Vabbò allor parla solo tu.
Fatto sta che, a fatica, riesco a spiegare che non sono un ladro seriale di bici e ferri da stiro e che quella bici l'ho comprata, senza scontrino e niente fattura, però non l'ho rubata.
Ok, 'ste cose non si fanno, le bici rubate non si comprano, non è così che gira l'economia, se non quella sommersa, in questo caso elettrodomestici e bici di contrabbando.
Ma, perdindirindio, proprio a me devono succedere 'sti fatti?
(I know, tipico discorso italiota scarica-barile, ma sul momento maledicevo il destino porco bastardo)
Mettono la bici, che tra le altre cose, non è destinata a me, sul camioncino carica bici e mi sfanculano, ammonendomi: “alla prossima volta non la passerai così liscia!”
Il Terrore della Maiella.
Torno da Amico Altissimo e decidiamo il da farsi.
Ma perché no, facciamoci prende per culo un altro po' dalla guardia civil.
Torniamo dalle guardie e imploriamo, tipo sceneggiata napoletana, di ridarci la bici.
Il Mariomerolismo applicato all'acquisto di contrabbando.
Al posto del film O'Zappatore, va ora in onda,

O'Ciclist.

Felicissima notte
a tutte 'sti signure in divisa
e a chesta cummitiva accussi allera
di poliziuotte scicche e gitane pittate
chest e' 'no mercato decoroso
tutte cu 'e divis di poliziuotte 'sti signure
e' i' ca so' sciso 'a coppa dall'Italia bella
senza cerca' o permesso compro i' pure
chi so che ve ne 'mporta
aggio araputa 'a porta del vostro cuore
e so' trasuto cca'
musica musicante (c'era un'orchestra di musicisti rom, per l'occasione)
fatevi mordo onore
stasera miezo a st'uommene aligante
abballa un ciclista senza biciclett'
no signore guardia
sentite a me nu ve mettite scuorno
io pe' ve fa' signore aggio pedalato
e sto' pedalando ancora notte e ghiuorno".

"ridaaaaaamm 'a biiiiiiiiiiiiciiiiiiiiiiiiii"


Di tutta risposta, la polizia, inizia a apostrofarci con Volare oh oh volare oh oh oh, italiannini, checazzzodicce (con inequivocabile gesticolare) e capuccinno.
Mancano solo un mandolino, una pizza, un piatto di pasta e Sofia Loren.
Degli stereotipi viventi.
Insistiamo, al che lo sbirro più cattivo (ché in questo caso ci sono lo sbirro quasi buono, quello che te pija ppe' culo, quello cattivo e quello più cattivo) sbrocca come i regazzini e ci minaccia nemmeno troppo velatamente.
MI AVETE ROTTO IL CAZZO! ORA MI DAI I DOCUMENTI! TI BECCHI UNA BELLA DENUNCIA!”
(da notare il passaggio da il VOI mi avete rotto il cazzo al TU ti prendi la denuncia)
Ehm, non ho i documenti”.
(mani in faccia della guardia, come per dire “ma chi cazzo è 'sto cojone, tutte a me capitano, ma non potevo fare il ragioniere come diceva mia madre?”)
vabbè dimmi il tuo nome”.

Non so perché, non mi chiedete il motivo, ma mi è venuto in mente questo nominativo:
Felice Mastronzo.
Nei cassetti della memoria arriva sempre il momento in cui devi fare i conti con le cazzate che ricordi, o spari a capocchia.
Felice Mastronzo, da quello che rimembro, era un ospite del Maurizio Costanzo Show, ospite proprio per quel motivo: il nome da scemo.
Ecco, io senza pensarci per una notte sono stato Felice Mastronzo, o, più semplicemente, per gli amici, Stronzo.
E vai di cavolate: nome padre? Calogero. Nome madre? Addolorata. Indirizzo? Calle de Esta Polla 23, e via dicendo.

Ovvio, mi volevano far cacare sotto, mica arrestare, ma resta il fatto che erano una banda di poliziotti mastronzi.
Mi ridanno foglio di denuncia, con i suddetti dati falsi (che posseggo ancora gelosamente attaccato al muro vicino alla laurea), e mi dicono:
se rivuoi la bici porta lo scontrino della bici al nostro deposito”.
Allor si scem.
Se ti ho appena detto che l'ho comprata qui.
Scuoto la testa e addio bici ciao.
Io e Amico Altissimo ce ne andiamo con le bici nel sacco.

Decido di tornare a casa mia, vicina comunque al luogo della più grande retata di elettrodomestici e bici rubate della storia della Penisola iberica.
Senonché, vedo a poche centinaia di metri dal focolare domestico, un mio amico riverso su un cespuglio, mezzo tramortito, l'Avvocato.

mpffmpfm aiut'm mpffmpf uuuuhhaaaaaaaa (vomita) pippiacer uà mannaccia 'a marosk, accompagn'm dalla mia ragazza a cui voglio tanto bene e a cui ho messo le corna solo quelle 7/8 volte nei cessi dei locali di tutta Valenci, ià piffavor uuuuuhaaaaaa (rivomita)”.

(era oramai consuetudine accompagnare quel povero cristo ubriaco, ché si ubriacava alla seconda birra, a casa della fidanzata. A volte, se non lo vedevo, o ubriaco o riverso vicino casa mia, mi preoccupavo. Ma seriamente.)

Sai, oggi ho coronato il mio sogno d'amore con l'american...”
Mavafangul! Chell è 'na puttana! Pucchiacchia, ma puttana. Siend a me, lascia perdere, scopa più che puoi, quante ne puoi, bionde, bulgare, bergamasche, i'cuopp' di tutte le nazionalità. Sennò che cazzo sei venuto a fa?!”
Ma tu non sei fidanzato?”
Sì, infatti per me è diverso, io lo dicevo per te.”

Dopo questi sottili ragionamenti, lo lascio nell'ascensore del palazzo della tipa, ripiegato su se stesso come uno Startac primo modello.

Arrivo finalmente a casa.
Con, in più, una speranza d'amore, un amico pseudo-vip, una falsa denuncia della guardia civil e una perla di saggezza sul senso di quest'anno d'Erasmus.

Che poi c'è un motivo se lo chiamano Orgasmus.
Ed ognuno lo vive come meglio crede, molti si sentono costretti ad essere il tipico erasmus superficiale e interessato alla fregna. Altri, la minoranza, no.
Ma, credo che il senso sia quello. Vivere un anno diverso dagli altri, cercando di ribaltare, oltre che più donne possibili, la visione che si ha di sé stesso. Non essere il solito io, ma uno migliore, brillante, ecc. Un io diverso, all'estero, per un periodo limitato di tempo.
Tanto la vacanza di un anno finisce e tu ritorni ad essere lo stesso sfigato di sempre (e che hai continuato ad essere in Erasmus, solo non ne eri consapevole).



(per la cronaca: la coinqui stava bene, era a casa con una borsa di ghiaccio sulla nuca e se magnava pane e nutella; ho controllato su Youtube se lo svedese del Vivident fosse effettivamente quello che millantava di essere. Era lui; l'americana mi ha scaricato subito dopo con una mail dal titolo “Io ti voglio bene, ma come amichetto”. Mortacci sua.)