lunedì 7 marzo 2016

FEBBRE

La febbre, quando ero regazzino e fino ai vent'anni circa, era un'abitudine, quasi un hobby: “oh Tibbè ma tu 'ntiniv la febbr?”, così me salutavano e lo stupore era dato dal fatto che fossi in salute, senza febbre.
Ma qui non se parla di febbri da un giorno e via, 37,2° e non hai nulla, non fare le mosse, avand a la scol. Erano febbroni da 3-4 giorni a botta.
Stavo bene tra un'influenza e l'altra.
Ero uno di quelli che faceva più assenze a scuola ed ero così sfigaz che nel libretto delle giustificazioni dovevo scendere a compromessi con mia madre, eddai essù e scrivici che ho fatto filone, che ero in viaggio d'affari, in settimana bianca, dagli zii a, uhm, Montmartre, ad una manifestazione no-global e ma ca tu si scem tu a No-global non ci vai. Febbre era e febbre scrivo. E, copriti, che fuori fa freddo.

E andavo a scuola, così ultra-vestito da sembrare un'ultra-paffutello Omino Michelin.

Madre, ma non è che so' vestito un po' troppo pesante?

Negli anni, ho perso questa abitudine, sarà che il mio corpo si è rotto le scatole di stare allungato sul letto a guardare la programmazione mattutina di Italia 1 e di ingurgitare macine (per la cronaca, ora sono gocciole), pastine e tachipirine, sarà che oramai sono temprato da decenni di stenti e conti alla mano per campare, sarà che non può trentanoveemezzo per sempre.

Ora mi ammalo a scadenze annuo-semestrali, cioè ogni anno e mezzo.

E già non ci sei più abituato, e già l'amico vegetariano, di solito cagionevole di salute, quello che ha preso il mio posto nel club “amici dell'influenza”, te pija per culo “devi prendere lo zenzero, è un toccasana, ero raffreddato e ora sto in formissima!” e giù risate (un po' come se Cassano mi correggerebbe correggesse un congiuntivo), e già ti rode che nei millemila gruppi di Uozzap fervono i preparativi di uscite che dire memorabili è poco, e già dopo un po' non sai che fare se non dormire, sudare ogni due ore così a cazzo anche se non prendi nulla e vedere in una giornata tutta la quarta serie di House of Cards...

Arriva anche la piaga del vicino coatto-cacacazzi.

Al piano di sopra, ma proprio preciso sopra camera mia, abita 'sto tizio che avrà sulla cinquantina, un po' Fonzie, un po' Briatore del discount, un po' Drupi. Ecco forse somiglia a Drupi, ma più alto, senza capelli lunghi e e senza cavalli di battaglia, purtroppo col senno di poi, come “così piccoooola e fraaaagileeee”.
Qualcuno giura di averlo visto portare peripatetiche, alias bagasce, al piano di sopra e di averlo addirittura visto litigare con loro, con tanto di urla irripetibili “boddhanah!”, inseguimenti pirotecnici e scarpe e vestiti lanciati giù per le scale a mo' di ciabatte telecomandate lanciate da mia madre, quelle che te colpivano da piccolo in qualunque posto tu cercassi di nasconderti.
Insomma, un viveur del quartierino, che je dà ancora e che, anche se non rimorchia in giro e non conosce il significato delle parole “Tinder” e “Badoo”, rimembra ancora quello delle parole “Viali” e “Mignotte”.

"[...]Così gli ho proposto di fare un giro per i viali... Mi sembrava un po' imbarazzato. Poi, quando mi sono avvicinato ad una... ad una peripatetica[...]"  (per intenditori)


Fatto sta che, per aiutare o meno il coito, così all'improvviso, ad orari improvvisi ed inattesi, pompa, oltre la peripatetica di turno, musica a tutto foco. Ma con casse forti forti eh.
E non di notte, ché basterebbe chiamare l'amministratore per levare bagascia e burattini, ma, di giorno e quando tutti di solito o lavorano o sono in giro (la pennichella, la siesta, la controra al nord non è contemplata).

FIFIFIFFI FIFFIFÌ FIRIFIFFI FIRIFFÌ... dal nulla si staglia questo assolo di sax a non so quanti minchia di decibel. Sussulto dal letto, in preda al freddo e a quel senso di malessere unito al giramento di testa che, a sua volta, favorisce anche il giramento di qualcos'altro.
Oddio oioia e che è? A pessima musica il vicino pappons è un maestro (ascolta di solito dance anni '90 thisistherhythmofthenight ma a volte, raramente, mette su Pink Floyd e Police, attimi di lucidità saltuariamente li ha), ma così si esagera.
Beh, l'assolo saxesco è così ad alto volume che riesco a shazammarlo.

E mi esce questo:



E per non farsi mancar nulla, mi sono sentito in loop la parte finale tipo quindici volte e FIFIFIFFI FIFFIFÌ FIRIFIFFI FIRIFFÌ e FIFIFIFFI FIFFIFÌ FIRIFIFFI FIRIFFÌ.

Bloccato a letto, mal di testa, gola intasata, freddo letteralmente 'nguoll e dolori alle ossa, rimpiango la programmazione di Italia 1, Arnold, Bo e Luke e l'A-Team.

Non dormo e subisco, senza possibilità di replica, il supplizio divino vicino.

Se Dante, ex novo, avesse aggiunto un girone infernale, quello degli “influenzati”, la punizione sarebbe stata questa: con la febbre a 39 ascoltando in loop il finale di Careless Whisper di George Michael.

"Fatti non foste a viver come Drupi".

Anni e anni fa, da adolescente, avrei pagato per rimanere a casa con la febbre e saltare scuola, ora, non vedo l'ora di tornare a lavoro.

Diventare (più o meno) adulti è anche questo: avere il vicino pappone che, spero inconsapevolmente, ti tortura.


Alla prossima bagascia chiamo la buoncostume.

Oggi tutto il condominio ascolterà George Michael. Check this out!



domenica 21 febbraio 2016

ODDIO NON TI AVEVO RICONOSCIUTO

La sala è piena di gente: su due lati sedie disposte in fila una dopo l'altra, su un altro lato la poltrona su cui mi sono sempre schioppato tante belle dormite, in fondo, un drappo bianco-azzurro con l'effigie di Gesù a braccia spalancate, tipo Cristo Redentore di Rio o Ronaldo, quello vero, quando esultava e, davanti a Jesus, delle colonnine di luce bianca al neon. Il tutto con un tocco genuinamente e amorevolmente kitsch.
Nel mezzo della stanza, Mio Padre. Vestito col miglior vestito che ha e apparentemente dormiente, come dormiva lui, con la testa inclinata leggermente verso destra.

Nella provincia abruzzese la camera ardente è organizzata in casa.

Un silenzio parlato di sottofondo accompagna la veglia funebre: mamma è in sala, vicino papà e noi figli tra la sala e le altre stanze, spesso in cucina, un po' più riparata dalle genti ma nei paraggi della camera ardente.
I parenti vanno, vengono e rimangono e un po' ci cibano e ci ingozzano di roba da mangiare: cornetti, bombe alla crema, ciambelloni di pan di spagna e thermos di caffè a colazione; gnocchi, tagliatelle, fettine con funghi, tortellini in brodo e chi più ne ha più ne metta tra pranzo e cena.
A turno se magna. E io, per il nervoso più che per fame, magno de tutto, come uno scroffellone, della serie se non ho voglia di digiunare stavolta non ne avrò più, mangerò sempre e in tutte le condizioni psico-fisiche.
Mamma, non preoccuparti, la mia paffutellaggine rimarrà fissa nel tempo.
Il resto è una fiumana di persone che arriva, fa le condoglianze e gravita nei pressi del feretro.
Le sciure made in Abruzzo, tutte vestite in toni scuri ma soprattutto de nero, sono lì che sostengono più o meno silenziosamente mia madre e nel frattempo, in alcuni momenti, discutono a bassa voce: Com? Avev'n fistiggiat ijr 49 ann di matrimonj?! Addì che peccat!
All'improvviso, io ero arrivato da un paio d'ore, arrivano due suore filippine, indonesiane, boh del sudest asiatico che ne so, non gliel'ho domandato, e senza dire nulla (Bongiorn voi siete? E se ne scappano), vanno a bomba verso la sala che neanche due pugili che entrano sul ring: all'angooolooo deeestrooo Suooor Maaaariaaa, all'angolo sinistro Suooor Viiinceeenziiinaaaa!
Solo che qui non ci sono due pugili né si sale sul ring, si va de corsa a dire il rosario e tutti zitti e mosca a dire ave o maria piena di grazia sennò so' scomuniche.
Le suore meccanicamente sono arrivate e, finito il rosario, meccanicamente se ne vanno, sempre senza dire nulla. Programmate per pregare ebbasta.

Tornare nella terra natìa in queste occasioni è straniante, è difficile, è surrealtà allo stato puro.
Dopo circa quindici anni che vivi da un'altra parte acquisti consapevolezza che forse quella non è più casa tua ma lo rimarrà per sempre, che perdi, in un certo senso era ora, ad una ad una le ancore che ti facevano pensare alla cameretta tua, alla cucina tua, al camino tuo, al balcone tuo che ridà sulla Majella tua, al paesaggio tuo, all'aia tua dove giocavi col pallone tuo e gli amici tua.
Soprattutto acquisti uno status che tutti, chi più chi meno, ti hanno appioppato e nessuno ha il coraggio o l'indelicatezza di dire: il figliol prodigo.

Come in un film indie americano di serie b, quello in cui il protagonista (di solito un sociopatico) torna nel suo paese d'infanzia e non si riconosce più in nulla di quello che ha lasciato decenni prima, quello in cui però lo stesso protagonista incontra una fiha, si redime, scopre le sue radici e dà nuovo slancio alla propria esistenza. Ritrova sé stesso insomma.

Qui, non me ne voglia il Sundance, non ci troviamo in un film con protagonista quello di Scrubs o Ben Stiller, non c'è Natalie Portman ad aspettarmi né, grazie alla bellezza delle piccole cose, ritrovo me stesso per dare slancio ad una nuova esistenza e né, soprattutto e per fortuna, non sono un sociopatico Yankee. Angh pecché sono abruzzese.

Qui ci troviamo in una commedia anni '60 di Germi traslata ai nostri giorni, con una spruzzata di neo-neo-neo-realismo a colori al neon, e nello specifico, io mi ritrovo, solo e solamente, in mezzo a 'na freca di gente.

"Più neon, voglio più neon, 'ndiamo!"


Che non sa chi io sia.

Oddio non ti avevo riconosciuto.

Madre: condoglianze, baci, convenevoli.
Sorella: condoglianze, baci, convenevoli.
Fratello: condoglianze, baci, convenevoli.
Io: buonasera, faccia da e mo chi è cussù, confabulare con parenti, ritorno, scusa, oddio non ti avevo riconosciuto, ma tu sei il piccolino, eh ma devi tornare di più così è difficile riconoscerti, (comunque) condoglianze, baci, convenevoli con pseudo-s-conosciuto ora ri-conosciuto.

Che poi dei metodi per farsi riconoscersi ci sarebbero.
Mettersi vicino a madre per esempio, suscitando un impeto di deduttività nel prossimo: moglie del defunto di fianco al feretro + defunto nel feretro + sconosciuto che assomiglia ai componenti della famiglia del defunto vicino alla moglie del defunto = ah, ma allora hanno tre figli e lui è il terzo.
Appendersi un cartello al collo con su scritto “Sono il figlio piccolo (sì, ne ha tre di figli)”, evitando imbarazzi reciproci.

No veramente non... non mi va. Ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri che mi riconoscono. Senti, ma che tipo di funerale è? Non è che alle dieci state tutti a dire il rosario ed io sto buttato in un angolo... no. Ah no, se si prega non mi presento. No, allora non mi presento. Che dici mi presento? Mi si nota di più se mi presento e me ne sto in disparte o se non mi presento per niente? Mi presento. Mi presento e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate "Figlio Piccolo vieni di là con noi, dai" ed io "andate, andate, vi raggiungo dopo". Mi presento, ci vediamo là. No, non mi va, non mi presento.

Fatto sta che il cerimoniale, se così si può chiamare, dura per un giorno intero ed è più meno sempre quello descritto qui sopra.
Alla fine mi ci abituo e, spavaldo, vado io stesso a fermare la gente: uè ciao, grazie delle condoglianze, sono un altro figlio, no non sono quello segreto, sì sono cambiato, eh beh eh beh si cresce, non no fa nulla che non mi riconosci mi ci sto abituando, però ricorda la mia faccia la prossima volta eh?, ciao grazie scusa ne ho un altro che non sa chi minchia io sia.

L'episodio che più mi ha colpito, però, accade verso ora di cena, con la casa piena di visite come sempre: arriva una signora sconosciuta (non solo a me, ma anche al resto della famiglia/parentame), tutta vestito di un ,of course, nero che stride col pallore della sua pelle, occhi scavati che vanno dritti all'obiettivo (che non sapevamo ancora quale fosse): la Laudatodionna.
Entra e, a mò di suora sudestasiatica, va a bomba verso l'obiettivo mio padre.
Oddì jè l'amant!
No.
Tira fuori un libro di preghiere e invita mia madre a cantare e pregare.
Al ché, vedo la faccia interdetta di mammà, comunque grande pregatrice e cantante di chiesa (le sa tutte, da allelu allelu alleluja a o signor non son degno di sedere alla tua mensa), che, molto garbatamente e con un misto di sofferenza per e adorazioni di mio padre, rifiuta.
La Laudatodionna fa allora tutto da sola, nello stupore generale: canta e prega, ma non balla, ché gli stacchetti religiosi non sono ancora stati sdoganati dal Vaticano e Don Lurio non è un prete ma un coreografo.

Finito lo, uhm, show, prende e, suoramente, se ne va.

Si mormora sia una signora, mezza pazza, che partecipa a tutti i funerali, o se non altro, a tutti quelli che riesce. Arriva, prega, canta e se ne va.
Chi effettivamente ella sia è un mistero che non mi è dato sapere e, sinceramente, non voglio nemmeno saperlo. Per una che non mi dà le condoglianze e a cui nemmeno interessa se esisto, non esisto, se devo farmi vedere più o meno spesso, va bene così.

Un outsider praticante religiosa, considerata mezza matta proprio in quanto religiosa senza alcuna motivazione se non quella di dare, a modo suo, conforto a gente che nemmeno conosce, incurante di sguardi e bisbigli altrui.

Sono una donna non sono una santa, non giudicarmi perché prego tuo padre non sono una santa.

Chiunque tu sia, Laudatodionna, grazie, va, ma nemmeno c'è il bisogno che lo dica, con il tuo grande amico Dio e insegna agli angeli come irrompere nelle veglie pregando e cantando.

"Vengo solo se c'è la Laudatodionna".


Finito il bailamme, di notte, la notte prima del funerale, mi ritrovo finalmente silenzioso in una casa in-finalmente silenziosa. Vado ad accompagnare Amica, venuta a trovarmi, ma porcatroia, per l'occasione, su in mansarda, dove c'è camera sua e ci affacciamo sul terrazzo.
La serata è tersa, il cielo pieno di stelle, il lampione, fonte di luce obnubilante di cielo, più vicino è a centro metri. Se vede tutto il firmamento, e io, purtroppo, di astronomia avrei voluto sapere tanto ma non so nulla.
Ssshhhhhh, silenzio again.

Cerco un segno divino, laico, ateo, 'nzomma un segno e come stai e come vuoi che stia, passerà la tempesta e mi ci abituerò, sono stanco, vai a dormire?, ci provo ché domani è più dura di oggi.
Domani sarà arrivederci amore ciao e le nubi, almeno stanotte, sono già più in là.
Decido di scendere, non prima di aver visto in pieno la scia di una stella cadente, proprio in uno di quei momenti in cui pensi ora cade una stella cadente. Di solito sei con una tipa e aspetti la stella cadente per far cadere un limone a tradimento su di lei. E, sempre più di solito, col cazzo che arriva.
Ora, quando per te conta per davvero per davvero, il segno c'è. Cielo, stelle, silenzio che assorbe ore di veglia imposta.
Che sia di buon auspicio, nemmeno questo, è dato saperlo.

Scendo verso la sala: mio padre è, rullo di tamburi, scappato! (No, è ancora lì).
Mi fermo davanti a lui, neon ancora sparato, e mi viene in mente un immagine che lì per lì, causa caciara, non avevo realizzato avvenisse.

Un vecchio collega di mio padre, e per una volta sono io quello che ne ignora il nome mentre lui mi ha riconosciuto al volo, fa qualcosa di anomalo: se ne frega del resto della gente, rimane lì davanti alla bara piangendo e fissandolo per minuti e, mentre lo fissa, gli porge il saluto militare (non erano militari insieme né erano noti guerrafondai), mano sulla fronte, ciao Tommà.
Poi si avvicina al sottoscritto: tuo padre era una grande persona, ricordatelo.
Non ho mai la risposta pronta alla prontezza di spirito delle persone pronte, se non un “lo so lo so” (che minchia di risposta è, sarebbe stato più calzante un “e che no 'o so a zì?!”).

Piango moderatam... no, 'na freca.
Non vivo più lì, non sono più di lì e, sinceramente, non so di dove sono, ma nel mio cercare radici mi porto, come un backpacker spirituale, l'aura di quel giorno e, ad esempio che vale per tutti gli ultimi saluti, quello originale, rispettoso e commosso di un amico di papà.
Ricordatelo, tuo padre, e porta il suo esempio e il mio saluto sempre con te.

Letto, mp3.



Dormo.