“...esser
stronzi è dono di pochi
farlo
apposta è roba da idioti...”
Ho sempre
pensato che per un rapporto profondo tra due persone, il porsi in una
determinata maniera, lo scrivere cose memorabili, belle, passionali
qualunque sia la passione in questione, fosse imprescindibile.
Eternità. La
scrittura, in ogni formato, rimane, ogni tanto si rileggono cose
passate, proprie o meno, per scandagliare il futuro.
È
in parte vero.
Anni fa
giudicavo i rapporti soprattutto per il grado d'elevazione poetica e
sentimentale che davano: un po' come il suogno di Crozza/Briatore.
Devi vivere il suogno del tuop del suogno negli occhi dell'altra
persona (non in quelli di Ana Laura Ribas).
Soffrivo, in un
certo senso, chi non riusciva ad avere la mia stessa fissazione verso
la scrittura, chi non seguiva la mia stessa lunghezza d'onda, chi non
fissava, per l'appunto, per l'eternità, cartacea o webbesca, il
mondo che merita di essere raccontato a chi vuoi bene.
Ho 30 anni,
l'età giusta per (ri)valutare l'azione, la sostanza, il gesto giusto
nel momento giusto, l'aiuto non richiesto, il sorriso perenne di
gente che sta con te e non ti chiede nulla in cambio, che è a suo
agio e si taglierebbe un braccio solo per vederti sereno, anche e
soprattutto se non te lo scrive. Mai.
Meno Vasco
Brondi, più Johnny Palomba (non so perché Johnny Palomba, me dà
affidabilità).
Meno forma, più sostanza.
Che poi oh, mica
vivo sulla Luna, i bei gesti, significativi, li ho fatti anch'io.
Ma paradossale che la mia reprimenda verso la forma sia sottoforma di scrittura.
Oggi c'è il
sole, primo giorno in cui non piove, non c'è il vento, quello bruxellese demmerda, “la bore”, celeberrima per quel suo
cacarti il cazzo e gelarti recchie, viso e mani.
Dopo l'ultimo,
breve ed intenso sclero, chiudo la porta lentamente, non uno sguardo,
non un ultimo ciao.
Scendo le scale,
esco dal portone e, impostato il Maps sul cellulare che sennò chissà
'ndo vado a finire, da Ixelles mi dirigo verso St.Gilles.
Questa volta il
fesso sono stato io.
Un rodimento di culo alla Martellone che se sveja dal coma va di pari passo con uno
strano senso di liberazione.
Cioè, come dire
meglio così, ma magari la prossima volta evito di farmi salire
istinti omicidi.
E, come al
solito, ammazza che tempismo demmerda.
Il sole non
riscalda per una sega, ma mette di buon umore e mi fa vedere
Bruxelles con una luce nuova, anzi con una luce.
Forse un
presagio, fatto sta che mi vibra il cellulare, un messaggio in
italiano da un numero belga.
“Ciao
sono Greta, la ragazza italiana che stamattina ti ha aiutato a
trovare il taxi, volevo sapere solo se avevi poi trovato la tua
amica. Spero tu stia bene e sereno. Tornerai a Bruxelles
prossimamente? Buon viaggio, baci Grè.”
E cu minchia è
Greta? La domanda si erge spontanea.
Cerco di
ricordare la serata: dall'una alle 7,30 di mattina, con un paio (o
forse più) ore di buco di memoria, causa sbronza clamorosa.
Allora: stare
con gli altri in pista, taac ce l'ho; vagare come una trottola da un
bancone all'altro, pisciato dai baristi (pure da loro) al grido di
“la birra è nell'altra sala” (la serata era in un posto
gigantesco, nemmeno le ho contate le sale), taac ce l'ho;
fraternizzare con persone a caso, di nazionalità a caso, taac ce
l'ho; incontrare un abruzzese che studiava a Bologna e che mi si para
davanti urlando il mio nome (e che mi fa controllare se per caso
avessi un cartellino alla Ok il prezzo è giusto col mio nome,
visto che ci ho messo 10 secondi per riconoscerlo), taac ce l'ho.
L'abruzzesità,
come il love, is in the air e sconfigge sempre il male. Certo,
comunicavo tipo Sloth dei Goonies, ma vabbè, non si può essere ogni
volta foneticamente impeccabile.
Flash.
Mi ricordo in
mezzo alla pista di una tipa che mi placca, sussurrandomi in un
orecchio “ciao, lo so che sei italiano, hai mica della droga?”,
al che rispondo senza nemmeno pensarci “avrei tanto voluta
averla”.
Lei, senza
motivo, mi ringrazia, mi accarezza il faccino e mi bacia in bocca con
un zinzinello di lingua. Il tempo di accorgermi che dovevo usare la “pierinesca” lingua a cavatappi, e lei si era già allontanata,
facendo ciao con la manina.
Imbambolato
dall'alcool, rimango fermo e basito.
Chi è che usa ancora la parola droga? Che tipo diddroga vuoi? MD,
ketamina, marijuana, du' cartoni? Chi è? La nipote di Giovanardi?
Tutti se ne
vanno, colei che ha subito il mio susseguente sclero, a quanto pare
era sparita, credo con Mbumba il culturista gibutiano e Carlos lo
spogliarellista portoricano e io, all'alba e a 2 ore a piedi da dove dormivo ero, diciamo, un po' spaesato, oltre che incazzato come
Vittorio Sgarbi impegnato in un'amabile discussione con Alessandra
Mussolini.
Saranno state le
6,30/7 del mattino, entravo ed uscivo dal locale. Dopo essermi
definitivamente fracassato i coglioni, decido l'impresa: a piedi fino
alla meta.
Faccio 200
metri, fondamentalmente un giro girotondo del locale, e l'impresa
cambia: in taxi fino alla meta (e meno male che du'soldi li avevo).
Oppure, opzione B, il vagabondaggio ramingo e disperatissimo nella
periferia bruxellese.
Ma di taxi
nemmeno l'ombra.
Ed è qui, che
il ricordo illuminante arriva prepotente.
Mi siedo fuori
il locale, ancora visibilmente ubriazzato (ovvero 'mbriaco e
'ncazzato).
Avessi avuto un
cane di nome Kira, mi avrebbero scambiato per un punkabbestia terrone
vissuto 10 anni in un posto occupato in Spagna.
Purtroppo,
nessuno mi vede, nessuno mi dà due spicci messi male.
Chiudo gli occhi
e appoggio la testa al muro.
-
Ciao italiano!
Una ragazza si
avvicina e mi si siede di fianco.
-
ma bbb mmm. Farfuglio,
sorpreso, dio solo sa che cosa.
-
Sono la tipa di prima, ricordi? Greta, piacere.
Ed è pure
carina, diodelladroga.
Mi chiede cosa
sia successo, e vabbè io racconto, risparmiando i particolari più
tragicomici della mia serata.
-
Sfigato. Rideva.
-
Dai ti chiamo un taxi, così puoi far rissa con calma.
-
Hai usato un ossimoro.
-
Un ossi-che?
-
Niente.
Era
con alcune amiche, va da loro, chiama il tassì, poi torna.
-
Aspetto con te.
Siamo
stati 5 minuti in silenzio, seduti ad aspettare. Io sempre appoggiato
al muro ad occhi chiusi. Lei boh, avevo gli occhi chiusi.
-
Sveglia! Oh il taxi!
Cazzo,
mi ero pure addormentato.
Sciao morb'diss'mi! |
Arriva
quello che diventerà il mio grandissimo amico, Khaled, il tassista
maghrebino esperto in problemi di cuore. Il Marco Predolin arabo.
-
Allora ciao, torna sano e salvo.
Mi
bacia, mi sorride e se ne va verso le amichette, come abbia poi avuto
il mio numero non me lo so ancora spiegare (ma, evidentemente,
gliel'ho dato io).
Il
viaggio con Khaled (e il punto interrogativo su in quale lingua abbiamo comunicato) ha raggiunto vette intellettuali di primissimo piano: il nostro accordo sul fine e delicatissimo
pensamento de “li femm'n è tutt puttan” (ovviamente non lo
penso, care amiche, ma è capibile che a caldo si dicano castronerie)
meriterebbe una ricerca di dottorato.
Il
rodimento di culo poi ha offuscato Greta.
Fino
ad ora, ora che mi trovo quasi a St.Gilles dal mio amico (vero) che
mi ospiterà l'ultimo giorno.
Che
senso ha avuto questa serata?
C'è
la forma e c'è la sostanza.
C'è
chi ti conosce e parla, parla, parla bene, scrive meglio, e lo fa
tanto per fare, ma non agisce o lo fa in maniera inquietante.
C'è
chi non ti conosce, ti aiuta così, senza secondi fini, e senza motivo ti vuole bene, anche solo per 20 minuti.
La fiducia nell'umanità.
La banalità del bene.
Ovvero,
li chiacchjr si li port lu vent (le
chiacchiere se le porta il vento)
e se si chiude una porta, si aprirà un portone.
La
mia porta chiusa non
era una porta “canonica”, bensì una di quelle porte girevoli
degli hotel, che ti fa entrare ma potrebbe risputarti fuori in
qualsiasi momento.
La
differenza è che questa porta non era di un edificio vero, ma di una
facciata bidimensionale, di cartapesta: entri, non vi è nulla
dentro, ne vieni sputato fuori.
E,
sicuramente, Greta non è proprio il portone che si aprirà,
ma, anche se dice droga e
non sa cosa sia un ossimoro, rappresenta il simbolo di quello che,
innatamente possiamo fare per l'altro. A maggior
ragione, per chi si vuole bene.
Un
sintomo, insomma, dei prossimi portoni.
La
sostanza, l'azione che supera l'ipocrisia che le fa da contraltare.
Penso
a questo weekend, penso che mia nonna sapeva 'na freca di proverbi, e
mi avrebbe detto che non tutti i mali vengono per nuocere.
Dal
letame nascono i fior e dalla
testadicazzagine, dalle incazzature e dal sentirsi preso per culo
nascono gentilezza, empatia (mi sa che si nota che mi piace la parola
empatia) e perché no, in una determinata declinazione, amore.
Arrivo
a casa del mio amico.
Apre:
-
Efess, tand lo sapevi già come andava a finire.
-
In parte sì.
-
Seee in parte, entr pingò.