“...e
poi è tutto un ricordare le cose meglio di com'erano davvero di
quando avevamo qualche anno di meno...”
Vado
al cesso và.
Maremma
se me scappa, veloooce, ops, scusa, scusami, permesso, sei in fila
per il bagno no, tu nemmeno e sono arrivat... minchia 200 persone.
E
ora come fò?
Leggo
gli articoli attaccati fuori la porta scorrevole del bagno bramato,
articoli che già conosco a memoria, tipo quello, del Manifesto,
sul posto occupato anni fa a Cosenza.
Ogni
tanto mi chiedo chissà che fanno a Cosenza, chissà se quel posto
occupato è ancora occupato a Cosenza, chissà se in questo momento il cesso di quel
posto occupato a Cosenza è occupato.
Dai
dai, sbrigatevi, jam su.
Esce
dal bagno una tipa: capelli neri rasati ai lati, coda a chignon (fino
ad un anno fa la chiamavo a
chiffon,
dire che secoli addietro ce l'avevo pure io), un po' punkettina,
piena di anelli, di cui uno al naso, e bracciali, con gli occhi
tristi, all'ingiù, di quelli che piacciono a me, come Diane Keaton.
Per
il sottoscritto, uno dei termini di paragone per definire il concetto
di bellezza: gli
occhi alla Diane Keaton.
Mi
guardo, la guardo, minchiaguardi.
prego, notare particolare occhi
Ciao...
(esitazione
alla oddì
come cazz si chiama)
Fabio.
Uè
ciao grande (e
qui potrei scrivere fiumi di parole sull'uso dell'aggettivo “grande”
come sostitutivo, a volte, del nome),
come va?
Bene
dai, tu?
Tuttappò.
(silenzio)
Io
esco che devo raggiungere gli altri, ciao.
Ciao.
Chi
sei? Come sai il mio nome?
La
guardo allontanarsi schivando la folla: ha un piercing sulla nuca (il
cosiddetto “cozzetto”), una sbarra metallica.
Il
piercing al cozz... alla nuca, gli occhi alla Diane Keaton, il dialetto
centro-italico non abruzzese (ché per me esistono il dialetto
abruzzese e il non dialetto abruzzese, cioè il resto delle lingue e dei dialetti della Terra).
Se
tre indizi fanno una prova, provo a spremermi le meningi, non troppo
che sennò mi piscio sotto.
Il
ricordo, rimosso dagli anni, dal poco tempo in cui l'ho vista e dal
fatto che lei è “leggermente” cambiata (cambio di taglio, colore
capelli, stile, chilo nel senso che avrà preso quindici chili),
riaffiora.
Tu
non sei una cosa seria, ma nemmeno una semplice scopata.
Che
sarebbe come a dirsi non sei né carne né pesce.
Il
veganesimo applicato all'amore/sesso.
Ma
io veramente voglio solo trombà, pensavo.
Però,
in fondo, per quei due mesi di pseudo-quasi-ogni tanto-rapporto, mi
piaceva.
L'ho
conosciuta per strada, davanti al Contavalli,
parlandole non so per quanto tempo di un film che lei stessa mi aveva appena
nominato: Rushmore.
yeaaaaah!
UUUUUUUUUUUUUUUU
rushmore, graaande conosci rushmore il film più sconosciuto di Wes
Anderson!
E vai lì a parlare di trama, di Bill Murray, di Jason Schwartzman,
dei movimenti di macchina, di tutta la filmografia di Wes Anderson,
insomma a ruota libera, con gli occhioni (esclusivamente i miei) sognanti.
Ecco,
lei invece mi aveva nominato Rashomon di Akira Kurosawa.
ops, scusa
Ah.
Scusa.
Non
sai chi sia Wes Anderson.
Scusami
tanto, non volevo, scusami.
A
Gondry come sei messa?
Ghostbusters? L'omino dei marshmallow?
Il
Verdone anni '80? Niente?
Vabbé almeno Vacanze in America che te faccio tutto il repertorio de Don Buro?
che te ridi, nun conosce nemmeno te
Io avevo una sciarpa viola, di quelle pesanti, di lana, fatta a mano. Me l'aveva appena prestata un mio amico troppo sbronzo per portarla e troppo impegnato a dire puppami la fava a tutti i passanti del centro (sempre per via della già citata sbronza). Io la prestai a lei: Non la voglio. Tienila, fa freddo, tira un bella zizzola. Che? Un venticello bastardo. Non mi serve comunq... vabbè dai dammi 'sta sciarpa. Quando vuoi rivedere qualcuno, o tu o lei, "lasciate" qualcosa all'altro, facendolo sembrare casuale: un orecchino, un indumento, un I-Pod, il portafoglio, una sciarpa. Più in generale, un pretesto. L'ultima
volta, era prima delle vacanze di Natale, che dovevamo vederci io ero
uscito con una mia amica.
Andò
a finire che l'amica mi disse che non voleva essere mia amica ma
deppiù, io rimasi come un baccalà e non sapendo scegliere, nemmeno
per quella sera, fui scelto e bona.
Mi
misi con l'amica (amica amica, scusate il francesismo,
stocazzo), in un rapporto un filino burrascoso che per un po' mi ha
fatto penare che nemmeno una sceneggiata napoletana con lanci di
piatti napoletani e urla napoletane, guarda.
Era, tutto sommato, un insignificante e giovanile sliding doors
Se
avessi avuto il coraggio di dire all'amica ah, hai capito che mi vuoi bene, mmm, sissì nonnò, vuoi stare con me,
mmm... Ah, dai, vvvabbè... si è fatta una certa, tante belle cose,
vado che mi devo beccare con Diane Keat... con una tipa, ciaone,
bella per te,
avrei evitato mesi di litigate, urla, pipponi, porte spaccate e uova di pasqua sfasciatemi in testa (davvero).
Ma
non è questo il punto: il punto (o il pretesto) è che sto diventando uno di quei
(sospirone) trentenni che non si ricordano le tipe con cui usciva (ma anche gente ics che frequentava) e
dice ah
ma tu sei quella con cui sette anni fa so' uscito mezza volta e con
cui stranamente mi ero fissato, dichiarando a mezzo stampa dopo dieci
minuti di conoscenza che ti avrei sposata e avremmo avuto tre
splendidi bambini solo perché sapevi a memoria la scena delle olive che sso' greche di Mario Brega in Borotalco?
Sono
quasi arrivato, sempre a livello di metafore filmiche, al Grande
freddo, a
Compagni
di scuola,
al momento nostalgia, al tempo che fu e non torna più.
S'invecchia e non si matura, e tutti, in più, mi dicono che sono la memoria
storica di tutti i conoscenti (la parola esatta è scassaminchia). La dimostrazione è che nel blog scrivo, di solito, di ricordi, aneddoti e cacate fatte nel passato.
Come
fai a ricordarti di quel pranzo del 25 marzo del 2005?
Boh, e come me lo ricordo, ricordo le minchiate mie, dei miei amici e
le ripropongo diciamo almeno, uhm, 50 volte all'anno, anche agli
sconosciuti.
Ciao,
piacere, la vuoi sentire la storia di quando mi sono cappottato con
un carrello della spesa a tutta velocità in via Zamboni? No? Allora
tutto è iniziato il 16 febbraio del 2006...
Il
tempo di rinsavire dai miei pensieri e scopro che la fila, prima di
200 unità, ora è passata a 400 unità. Mi sono passati avanti i
baristi, quelli che erano prima in fila con me e je riscappa e
financo i netturbini.
Vado
a farla fuori che sennò poi mi tocca scrivere un post su quando mi
sono pisciato sotto in un bar à la page di Bologna.
Vicoletto,
olè, aaaaaa, liberazione.
Ma
non stavi facendo la fila al bagno?
È
lei che va via e continua a camminare.
C'era
fila, mi stavo pisciando addosso.
Bonjour
finesse. Ciao scemo.
Ciao.
Però
mi piaceva, con quindici chili in meno, ma mi piaceva.
“...F-F-F-F-F-ORZAAA
RAGAZZI FATE L'AMORE NON FATE LA GUERRA! IL VOSTRO DJ HERPEEEES
DIRETTAMENTE DA CASTIGLIOOONEEE MESSEER MAAARINOOO VI FARA' SCATENAR.. EHI BELLA
BIONDINA, SAI COME DICE IL PROVERBIO? BELLA BIONDA BEATO A CHI SE
LA... E IL-IL-IL FINAAAALE NON SI PUO' DIIIREEE. FORZA A TUTTI I MASCHIETTI
O-LE-LE O-LA-LA FACCELA VEDE' FACCELA TOCCA'!...”
Ma dove sono
capitato, mi chiedo.
Ma uno si può
rilassare, mi chiedo.
Ma dove minchia è finita la gende normale, mi chiedo.
Pensavo di
essere in Abruzzo e invece mi trovo nell'Abruzzo che scimmiotta la
Romagna che scimmiotta Ibiza, non quella spagnola, ma un'ipotetica
Ibiza al Mare in provincia di Vibo Valentia (col massimo
rispetto per la movida della costa vibonese).
Leggerò un po'
il libro. “Ma che cazzo te leggi, ci sta il karaoke, troppo
fregno!”
Proverò a fare
un bagno, via giù. “Quale nuotata, devi stare sul bagnasciuga
seduto sulla sdraio con il mojito in mano e fare commenti senza senso
sulle pseudo-fregne che passano!”
Prenderò il
sole. “Che te metti la crema?! Ahahaha come li vicch!”
Magari mangio
qualcosa. “EH? Un pacchetto di patatine e una birra 9 euro?”
Facciamo un
sabbione (leggasi partita di calcio)? “Che? Ma tu si scem, c'è
l'aperitivo on the beach con spritz a soli 6 euro, cubiste scazzate e musica improbabile a
tutto volume che te rincojonisce in mezzo minuto, non lo possiamo
perdere!”.
Farò un
pisolino. “FFFFFFORZA! VIETATOOO DORMIREEEE! TUTTI A BALLAREEE
COL SINGLE PAAARTY! TUTTI I SINGLE DEVONO B-B-B-BALLARE E CONOSCEREEE
SEDUCEEENTI DONZELLEEEE!”
Ma io voglio dormì!
N-N-N-OOOON
SI PUOOOOOOO!”
Condannato al
divertentismo coatto (qui la parola coatto, che sia aggettivo o sostantivo, è da declinare in tutti i
suoi significati).
Vorrei un po' di
pace, vorrei farmi li cazzi mia, ma... “Ma a Ibiza fanno così!”
Ma a me Ibiza fa
cacare.
Mi sento fuori
luogo, fuori contesto, un pesce fuor d'acqua perché in acqua c'è un
dj che pompa musicademmerda e un vocalist che urla frasi sconnesse come un ossesso.
Non è mare, non
è più il mio mare.
Come
nostalgicamente l'ho sempre ricordato.
Prima
Che
poi quando ero piccolo e leggevo, anzi divoravo, Topolino su
Topolino, l'idea iconica d'estate era la pubblicità del
Calippo (e non fate battute, cretini) su quel giornalino:
semplicemente delle palme, una spiaggia, il mare e quella ancestrale
conoscenza di posti esotici, delle Maldive, Seychelles, Polinesia,
insomma Tropici e Caldo, senza Messico, senza nuvole.
Io invece andavo al Lido Riccio.
Mi sa che ho sbagliato pubblicità
Mano
fuori dal finestrino, acchiappando il vento, guardo dal basso del mio metro e un barattolo
il cielo terso e sempre più blu, che ai tempi non era una canzone ma
una tipica domanda scassaminchia per mia madre: “mamma perché il cielo è
sempre più blu? Mangia scimunito!” e
via coppino in testa.
“Non
mettere la mano fuori il finestrino! Che poi passa una macchina in
senso contrario e ti stacca il braccio e poi lo andiamo a raccogliere
a Cuppitell!”
Bravissimo! Quello è un cavallo! Un punto per Antonfabio!
Pfffff, vabbè,
mi accontenterò del cielo e di parlare a vanvera, facendo domande ed
interventi a vanvera: guarda una pecora, un cavallo, guarda la casa di quello
dell'Inghilterra che viene in vacanza qua come si chiama? Robert. Ah, vero, Bomber. Dov'è l'Inghilterra? È bella l'Inghilterra? Ci andiamo in
Inghilterra?, perché sbagliano a mettere il volante in Inghilterra? guarda un'Alfa Romeo (non so il motivo, ma da bambino
conoscevo tutte le automobili, ora faccio fatica a distinguere una
Punto da una Lamborghini), guarda la vite la vite e la vite l'è
bela.
Lo sguardo di mia madre dice tutto. O per lo meno "come si spegn' fijim".
Poi crollo,
colpito da narcolessia infantile e me schioppo un 10 minuti di sonno,
a mo' di siesta. Sarà che la Volkswagen Scirocco arancione di Zio
Emilio mi culla e mi inonda di brezza e di estate, facendo leva sul nome ventoso.
Arriviamo al
nostro stabilimento, un hotel, l'Hotel Katia, che ha più un nome da
motel di battone sulla strada della bonifica, ma tant'è.
Ho il mio
secchiello e la mia paletta, gli altri tre, mia madre, mio zio e mia
zia tutto il resto, tipo un punto vendita Giochi Preziosi, da portare
preferibilmente con carriola.
Ombrellone.
Domandone.
Posso fare il bagno?
No, devi
aspettare tre ore tre (anche se hai mangiato mezzo tozzo di pane),
devi digerire ché l'acqua è fredda e poi arriva al pancino e ti senti
male, come è successo al (fantomatico) cugino di P'ppin di lu
Firrar (nome fittizio) che è dovuto andare il bagnino a
riacchiapparlo come un pescatore di frodo acchiappa un cannolicchio sotto la sabbia.
Insomma, fin
dagli anni '80, c'è un virtuale cugino scemo di qualcuno (sempre lo
stesso) termine di paragone dell'inettitudine alla vita. Lo stesso cugino scemo che ha perso l'occhio per un pezzo di carta sputato dalla penna, che si è tagliato con le forbici con la punta arrotondata e che una volta è morto.
Non sapendo
quanto siano tre ore, gioco creando piccoli cantieri per la
costruzione di castelli e edifici che hanno tutti una particolarità:
crollano al primo muro abbozzato.
Nulla di diverso
da un vero cantiere italico.
Oppure c'è
l'opzione fare il buco per l'acqua, ovvero dover
scavarescavarescavarescavarescav'resc'v're per trovare l'acqua. Di solito scavo
così tanto che mi vengono a riprendere speleologi di fama
internazionale. Più semplicemente mi alzano dalle orecchie,
un'orecchia per parte, mi' madre e mi' zia e giù mazzate e minacce
sulla possibilità di futuri bagni in mare.
Posso fare
bagno? No. Ora? No.
Pffff. Và,
giochiamo con i mammocci (pupazzi) dei Cavalieri dello Zodiaco,
inventando la saga dei “Cavalieri dello Zodiaco VS i cavalieri
della costellazione dell'arrosticino incattiviti dall'aspettare di
farsi il bagno”.
Mannaggia sanda! Vulem fa lu bagn!
Oppure ci si
ingegna e si cercano bambini che giocano. Io non chiedo di giocare
ché mi vergogno e aspetto fermo come uno stoccafisso guardando a
testa bassa la sabbia e facendo il bimbone che più speciale non si
può.
La scena che si
crea è pressapoco questa (trentesimo secondo di video):
Posso far... NONE! (il none in abruzzese è il rafforzativo del no).
Segue sguardo da
Gatto con Gli Stivali.
Forse mammuzza
cede.
Dai corri fino a
lì e torni qui, fallo per 10 volte.
Dove il lì
corrisponde a circa mezzo chilometro di distanza.
Il piccolo me,
paffutello e già (in)sofferente a qualunque sforzo aerobico, corre corre
corre come un piccolo Foresto Gampo dell'Adriatico, ansimando e
rischiando un prematuro infarto, ché a quanto pare sarebbe più figo
morire a quattro di spade faccia sulla sabbia colpito da collasso
cardiorespiratorio che in mezzo all'acqua sotto i colpi di una
congestione (“Sà mio figlio è collassato in spiaggia. Eroe! Vs
“Mio figlio ha avuto una congestione in mare. Che mezzasega!”).
Bagno bagno bagno bagno bagno
Quando riesco a
finire la mezza maratona avrei bisogno di sali minerali, invece è
l'agognata ora del bagno. Da fare con l'acqua che ti arriva sugli
stinchi, i “nooooo nell'acqua alta” (il concetto di alto è
molto aleatorio) e con la supervisione di mamma e zia che alla prima
infrazione urlano il tuo nome, facendo sapere a tutta la spiaggia che
hai osato bagnarti i femori.
Finisco il
bagnetto e si mangia o focaccia/pizzetta, comprata poco prima al
forno, o gelato Motta, cercando di ottenere il maggior rapporto quantità/prezzo.
E poi si sta
sotto l'ombrellone, in silenzio, senza trambusto, godendo del mare,
senza selfie alle gambe/wurstel, senza dj e vocalist che te
rincoglioniscono e il divertentismo forzato che ne deriva.
Il mare, la
spiaggia, erano una sorta di spontaneo rifugio del corpo e
dell'anima.
Cerchi pace, la
trovi, ti ristori, ricominci in seguito con la vita non estiva di
sempre.
Poi ovvio che
non tutti vogliono rilassarsi al mare, che non a tutti faccia schifo
la combo dj-vocalist-musica del cazzo a tutto volume.
I gusti son
gusti.
I miei son
questi.
Si sta perdendo (non dappertutto) il
mare come lo conoscevo io.
C'era
la mia classe, c'era la classe di mia madre, allora ancora maestra, c'erano tutte le classi,
ovviamente.
“C'è
anche il nonno lì”, mi disse mia madre.
Mio
nonno, suo padre, è morto nel 1943, a causa di una mina, mentre
lavorava la terra, mia madre aveva due anni.
Nonno
Nicola è per me la foto sulla sua tomba e lo sguardo di Mamma che lo
prega in silenzio e che ancora oggi lo va a pregare.
“Siamo
stati sfollati io e tuo padre, ma poi la guerra è finita e siamo
tornati a casa”.
La
casa non c'era più, non c'era nulla, un paese e un territorio
distrutto, devastato, da bombardamenti e combattimenti casa per casa,
terreno per terreno. Fino a pochi anni fa c'erano ancora le cave dove
ci si rifugiava durante i bombardamenti.
Mio
padre me l'ha sempre raccontata la guerra, i suoi ricordi, Fritz il
soldato tedesco con cui aveva fatto amicizia, le SS che erano teste
de cazzo e menavano, nel migliore dei casi, botte da orbi, così,
perché erano e rimarranno teste de cazzo, lo sfollamento
nell'entroterra abruzzese, il freddo, la fame, i soldati alleati
nascosti dalla mia famiglia, il papà adolescente che tagliando per
fratte aiutava i suddetti soldati a scoprire gli avanposti tedeschi.
La
guerra l'ho avuta a casa.
E,
mesi fa, per caso, su Rai Storia, ho visto un documentario su la
guerra a casa mia, e c'era mi padre che raccontava e raccontava e io già
le sapevo 'ste cose, ma mi commuovevano lo stesso.
Mi
riprendo dalla sbronza della sera prima, bevo caffè, mangio,
cazzeggio, ridormo, se non fosse che è il 25 aprile non uscirei.
Il
punto è che il 25 aprile e voglio uscire.
Voglio
andare al Pratello, mi voglio prendere una birra, stare dal
pomeriggio a notte fonda a parlare, sentire musica, sentire i miei amici che mi dicono auguri! buona festa della liberazione!, sentire
testimonianze di quel periodo, vedere mostre, vedere documentari,
vedere tornei di briscola, parlare con perfetti con sconosciuti alla
fila del cesso (e, nel caso specifico, non pisciare per strada che
oggi non piscio per strada, oggi no), sentire il fricchettonismo
maledetto mischiarsi con i vecchi partigiani con i loro fazzoletti, mano nella mano con i nipoti.
E
immaginare che a quei nipoti raccontino quello che mio padre mi
raccontava.
Educarli
alla resistenza, educarli alla storia, la nostra storia, educarli al
bene affinché nel futuro il bene si compia, in contrapposizione al
male assoluto di quegli anni.
Si
cresce così.
Io,
senza quei racconti, non sarei quello che sono.
Non
avrei lo stesso rispetto per concetti astratti come umanità, eroismo
e coraggio.
Anzi,
non avrei mai conosciuto questi valori.
Il
25 aprile, a Bologna, al Pratello, io commemoro, a modo mio, chiaro,
questi valori.
Pure
se gioco a briscola.
Pure
se gioco a biliardino.
Pure
se scherzo con gli amici che sono lì per lo stesso mio motivo.
Commemorare.
Quel
gol l'ha fatto Miralem Pjanic. E voi direte esticazzi so' calciatori
i soldi viziati il suv le veline la bamba a lavorare andate a
lavorare.
No.
Miralem Pjanic è bosniaco, ed è cresciuto in Francia perché la sua
famiglia è scappata dalla guerra nell'ex-Jugoslavia, una famiglia sfollata come
la mia.
Miralem
Pjanic è portatore sano di testimonianze di guerra, è stato educato
come lo sono stato io.
Ha
vissuto indirettamente la guerra e, idealmente, ha voluto omaggiare
il 25 aprile con un capolavoro calcistico.
E
lo so, il paragone è altamente blasfemo, ma quando Miralem mi ha
serpentinaggiato tra le maglie rossonere io ho pensato questo.
Il
25 aprile è il veicolo per ricordarci che abbiamo una Storia
Esemplare.
A
me fa male Wes Anderson. Mi ha sempre fatto male. Mi ha dato un
immagine distorta della vita.
In
questa storia ci sono il romanticismo alla Wes Anderson, Valencia, il
Vivident Xylit, Bertinotti Fausto e un quasi mio arresto.
Ma,
fondamentalmente, è il racconto della passeggiata notturna più
bella ed assurda della mia vita.
Guardo
quella finestra al secondo piano da ubriaco.
Ah,
che bello l'amore, che bello, la vita è meravigliosa, le rose sono
in fiore e io sono davanti ad uno studentato dell'Università della
Florida, proprio di fronte Torres Serranos, uno studentato megagalattico che spacca i
culi a tutti gli studentati della penisola italica (no perché 'na
volta ce so' pure entrato, Thanksgiving day, eh sfigati, voi l'avete
mai fatta una festa del ringraziamento con degli ienchi? Io sì),
alle 4 di notte, guardando una finestra chiusa, ma chiusa bene eh.
Aaaahh,
sospirone.
Che
bella l'America, che belle le americane. Che bello fare un serata
così, parlando di noi, delle nostre vite, così diverse, ma così
interessanti, guardandoci negli occhi, emozionandoci, confrontandoci
sulle nostre storie di vita, sull'Italia, gli Iu-e-6, così, un po'
brilli, un po' innamorati, dall'alcool, dalla vita, dalla giovinezza
primavera di bellezza, come diceva nonnò.
E
poi quel bacio, così appassionato, così bramato da entrambi, così
magico, come questa notte autunnale valenciana.
Ah,
se penso a queste ultime ore, ed io che guardo la finestra della mia
futura moglie ammerrigana, futura madre dei miei sons, che mi ha
sfidato e io m'a so' magnata, gnam.
Ah
l'amore.
Ah,
traduzione della serata appena passata per i non presenti in quella
serata, ovvero tutto il mondo tranne me stesso:
incontro
con americana per cui stavo sotto che cercava posto in cui fumare un
narghilé, posto che solo io conoscevo;
trovato
posto, il posto era chiuso. La faccio bere, spendendo tutta la borsa
Erasmus nell'intento di farla ubriacare, non abbastanza a quanto
pare;
entrato
in un locale fighetto per farla contenta, con bottiglia di vodka
(presa per il motivo di cui sopra) fatta entrare non so come (e vabbè
le battute se sprecano a 'sto punto) e continuando a bere come non ci
fosse una mañana;
accompagnata
a casa, ovvero il suddetto fantasmagorico studentato floridese, con
l'appoggio di tutte le amiche brutte americane che fomentavano
l'accoppiamento tra di noi, giovani virgulti italo-americani;
Nun me guardà così, io ci ho provato
intortata
per non farla subito scappare a casa, visto che lei era una mezza
fricchettona democratica vegetariana maledetta, con argomenti come il
Che, Fidel, la Crisi dei missili, Kennedy era una brava persona, no
guarda il comunismo in Italia non è quello che pensi te come quello
dell'Urss, io a Berlinguer ci voglio bene, Berlusconi fa schifo, ora
c'è Bertinotti, do you know Fausto Bertinotti? (ora, io sfido a
trovare una, e dico una sola, persona, che ci abbia mai provato con
una tipa usando Fausto Bertinotti, per me, ad honorem, sono 96 minuti
di applausi di fila).
La
risposta è stata ovviamente no, le palpebre un po' ubriachelle un
po' assonnate dicevano “ma te ne vai via di culo?”. Ergo, butto
la lingua oltre l'ostacolo e le meno un ciuccione a sorpresa, con lei
che ritraeva la testa all'indietro, non abbastanza ché c'era il muro
dello studentato americano floridese fantasmagorico, anche il muro
fantasmagorico ha 'sto studentato, sì.
Ri-ergo,
dopo cinque secondi di bacio, sovviene e mi dice “no, non posso
ciaociaociao buonanotte” e scappa dentro, a casa sua, la tro..
futura wife.
Io
rimango lì imbambolato, più per la sbronza che per altro, ma mi
piaceva pensare al fatto che sì daje sono innamorato e occhi a
cuoricini e vacanze a Miami Beach a palle all'aria tutto a scrocco
tutto pagato.
Erano
i film di Wes Anderson che mi imponevano l'innamoramento.
Devo arrivare a
Plaza Honduras, una bella scarpinata (Google Maps mi dice 3,9 km e
50 minuti a piedi e io dico minchia quanto ho camminato, visto che ho
pure allungato).
Inebriato,
questo vero, dalla suggestione che in Erasmus devi vivere la
conoscenza esotica dell'amore, il corteggiamento, l'innamoramento, lo
scopamento.
Suggestione
da Erasmus che, effettivamente ti fa vivere quel momento così, come
unico nella vita, cioè per dire se passavo da ubriaco il Ponte
Matteotti alle 4 di notte dopo aver preso un due di picche da una
sboldra floridese me dicevo “ma porca troia per colpa de 'sta
'mbecille anche stasera seghe”. A Valencia no, a Valencia in
Erasmus, e a ragione, sei felice, scemo ed inebriato.
Mi fermo a metà
ponte, nelle orecchie questa canzone che posto qui sotto, che sento
ogni giorno fino allo sfinimento.
Guardo il Turìa
e penso: cazzo sei bella Valencia, stanotte poi.
Suona il
cellulare. Sticazzi non rispondo.
Ah, l'amore.
Mi avvio alla
cazzo di cane, senza meta, più o meno so la direzione, seguo la
strada e vedo 'ndo mi porta il cuore.
Eh, 'ndo mi
porta? Boh.
Cammino cammino
e vedo palazzi e zone a me sconosciuti.
Arriva un
messaggio:
“A
Frappa (soprannome
dell'epoca) 'ndo
cazzo stai. Se te stai a schioppà l'americana bella ppe' te, sennò
viè a Pollo e Perolone (Calle
Polo Y Perolon, via di locali erasmus, ribattezzata dalla cumpa
simpaticamente così)”
L'americana a
quanto pare non me la sto schioppando, sarà sicuramente la madre
americana dei miei figli italo-americani, ma no, a quanto pare no,
non è qui con me in una via ics di Valencia a copulare
selvaggiamente sospinta dall'amore.
“Arrivo
anche se non so 'ndo cazzo 'sto”.
Cazzo!
Primado Reig! Questa via la conosco. Ce sono venuto ad un paio de
feste. Ora, destra rotonda ancora destra Blasco Ibañez
Polo Y Perolon. Ce l'ho fatta.
“Ha-Ha-Ha-Hammarby!”
Sento cori da
stadio in idioma a me ignoto.
Mi giro e vedo
tre biondi di 2-metri-e-0-5 che, fomentati, e smanacciando a mò di
coro della curva sud, mi si avvicinano.
Parlando in, poi
lo scoprirò presto, svedese.
Sei di
Stoccolma?
No, so'
abbruzzes.
Do you know
Abruzzo?
No.
Tra l'altro, una bellissima felpa
Vabbè,
il nocciolo della questione è che pensano sia svedese per via di una
felpa, comprata a Stoccolma, di una squadra di calcio, l'Hammarby
(squadra
sfigatissima, tipo uno svedese che va in Italia con la felpa del
Chievo Verona e viene fermato a Catanzaro da tre ultras del Chievo).
Loro erano 3 dei
7 ultras totali dell'Hammarby.
Noooooo, sei un
mito!!
Mi acchiappano e
mi alzano dalle 'recchie tipo champions league e sono baci, abbracci,
foto, selfies prima della moda selfie, gimme five all right,
legen-wait for it-dary, genio, idolo, ti offriamo a bere, 'ndo vai,
vieni con noi, andiamo a fregna, hai amiche meglio se italiane, ce le
presenti, grande, idolo, tutta la notte coca e mignotte.
Sballottato da
cotanto ingiustificato entusiasmo cerco di giustificare il mio stato
emotivo “ma io so' innamorato, my future american wife of flo..”
Schiaffone
in testa, grasse risate “mavatteneaffanculo!” (o
almeno, me l'hanno detto in svedese, ma il senso penso fosse proprio
quello).
Apposto, andiamo
a Polo Y Perolon con gli amiconi ultras.
Avevano alcune
birre, me le offrono, parliamo.
Il più
silenzioso, o meglio, il meno esagitato dei 3, mi dice:
“Sai,
io sono famoso in Italia”.
Me
lo guardo, con un misto di sufficienza e compatimento della
mitomania.
“Ah,
bravo campione, sei forte!” (dentro
di me pensavo: ma chi cazzo sei e perché famoso? Chi sei? Il cugino
di Ibrahimovic?)
La fatidica
frase che cambia le prospettive della serata, che mi ha permesso di
conoscere il vip più vip della mia esistenza (e aggiungerei me
cojoni che vip) è questa:
“Ho fatto uno
spot del Vivident Xylit, solo per il mercato italiano”.
Silenzio. Mi
fermo. Lo squadro per alcuni secondi.
“Mmma tutututu
sei quello con i denti bianchissimi in Finlandia che je sparano nelle
chiappe?” (detto in italiano)
“Sì, sono
io”.
Proprio lui
Si ripete la
scena di cinque minuti prima, al contrario: mi butto addosso al
malcapitato, urlando GEEEEENIOOOO!, cercando di buttarlo per terra e
alzandogli le labbra per vedere se è vero che i denti dei finlandesi
(in verità svedesi) sono bianchissimi.
In verità, in
verità vi dico che nello spot c'erano effettoni speciali. I suoi
denti erano normali, niente de che, bianchi ma non quel bianco
fosforescente che al buio dovrebbe illuminare la via.
E quindi niente,
il tipo del Vivident fa l'Erasmus con me, è svedese se non si era
capito, studia boh, qualcosa, ha fatto quella pubblicità,
interamente svedese, per caso, in quanto non attore professionista,
la tipa dello spot a suo dire è una milfona e il fatto che
l'ambientazione sia finlandese lo fa incazzare di brutto brutto eh.
Grande, non vedo
l'ora di farlo conoscere a tutta la cumpa.
Arriva altro
messaggio:
“Aò, annamo
ar Rastro che dovemo comprà du' bici. Raggiungici là. Ciaciacia.”
Il Rastro è
quel mercato gestito per la maggior parte da zingari (gitanos),
tecnicamente clandestino, che si fa il sabato notte a Valencia, di
fianco lo Stadio Mestalla, pieno quartiere universitario.
Vendono di
tutto: noi di casa abbiamo comprato ferro da stiro non funzionante,
televisione 18 pollici non funzionante ed eravamo in trattativa per
un frigorifero sicuramente non funzionante che però avrebbe dato un
tocco chic all'ambiente domestico.
Il non plus
ultra dell'offerta sono le bici rubate, di tutti i tipi, tutte le
marche, tutti i colori, una marea di bici, mica il tossico che ti
chiede per strada “oh, tipo, bici? Fumo? Keta? Hai spicci? Una
sigaretta?”, nono, qui c'è professionalità.
Anni ed anni di
sano mercato abusivo, che nessuno mai si sognerebbe di interrompere.
Fino a stanotte.
Arriviamo dopo
circa venti minuti con i miei amici del cuore svedesi, il mercato è
pieno ed in pieno fermento, come sempre.
Dei miei amici
nemmeno l'ombra. Dove sono? Amiciii? Dai non mi fate gli scherzi che
vi nascondete. Amici? Niente.
Mi giro e vedo
gli svedesi buttati a pelle di leone su un gruppo di italiane che
bevono in mezzo al piazzale e che guardano la mercanzia, non una
metafora della mercanzia maschile, no, proprio quello che vendono i
gitanos.
Provano ad
attaccare bottone, con scarsissimi risultati.
Mi appropinquo
alle tipe e esordisco con il solito ed inflazionato: “siete
italiane?”
E loro con aria
scocciata mi dicono che sì sono italiane in vacanza, di Barletta e
che siamo il trentesimo gruppo di maschi non alfa infoiati che
provano ad abbordarle. Poi io sono italiano, il che è peggio.
Il colpo di
genio, in questo caso, è rivelare l'identità del noto attore di
spot di chewing gum senza zucchero.
Ed è subito il
Carnevale di Rio.
Le tipe
impazziscono all'unisono, neanche andassi in giro con Brad Pitt,
quello di Elisa di Rivombrosa che nemmeno mi ricordo il nome e Marco
Borriello.
“Oddio, moh,
Rousa lo vedi? È proprio lui! Lo vedi! Mè è che emouzioune! Quando
torniamo a Varletta lo dico a Pinuccia che quella mi schiatta
d'invidia proprio!”.
Foto. Baci.
Ammiccamenti vari.
Io ovviamente
sono escluso, in quanto non attore di spot, dalla combriccola.
Il tipo sommerso
(e non abituato, me sa) dall'affetto femminile italico, fa in tempo
a dirmi “grazie! Grazie tanto! Non mi era mai successo! Grazie,
grande! Ci vediamo settimana prossima alla Bodega Fila! Mi
raccomando, ti offro a bere tutto quello che vuoi! Grazie graz..” e
viene inghiottito dalle muliere sudiste.
(Non
lo rivedrò mai più. Mai. Nemmeno per sbaglio).
Non so nemmeno
il suo nome (e tutt'ora lo ignoro), ricordo solo le sue
gengive e i suoi denti. Belli ppe' carità, ma non è che mi faccio
mostrare le gengive da tutti i biondi simil-svedesi che studiano a
Valencia.
Incontro,
dunque, Amico Altissimo, unico amico della cumpa rimasto nella
piazza.
“E gli altri?”
“Sono andati
al pronto soccorso che la tua coinquilina è caduta all'indietro e si
è spaccata la coccia”.
Dioboni.
Ennesimo
messaggio sul cellulare:
“Aò a Frappa,
stamo ar pronto soccorso che 'a tu' coinqulina è caduta 'mbriaca
all'indietro sbattendo la testa. N'te preoccupà, sta bene. Io stavo
a parlà con una turbofregna svedese, ma ho dovuto accompagnare
Coinquilina, mortacci sua!”
A quanto sembra,
è la serata del gemellaggio sessuale Italia-Svezia, oltre che quella
del gemellaggio (più che gemellaggio pare 'na parentela alla
lontana), non sessuale, Italia-Usa.
Amico
Altissimo mi convince a comprare una bici perché allora lui ne
ha già una però la vuole cambiare quindi quella sua va a me e
quella che compreremo va a lui. Insomma mi stupidisce di chiacchiere
e accetto.
Andiamo,
trattativa lampo, 20 euri e bici comprata.
Oh finalmente ho
una bici anch'io, mi allontano dal piazzale fischiettando raindrops keep fallin on my head, direzione pronto
soccorso.
Quando all'improvviso, rumore di sirene poliziesche, a tutto volume, 2/3
volanti più una macchina in borghese e mi ricordo pure la macchina,
una Ford Mondeo grigia metalizzata.
Questa minchia
di Ford Mondeo si dirige ad altissima velocità verso il
sottoscritto, sottoscritto che guarda la scena a bocca aperta, come
una baccalà, basito F4.
Il simpatico
poliziotto (faccia di cazzo) frena ad un centimetro dal mio
corpicione immobile a mò di statua di sale.
“Deja la
bicicleta!”
Lascio la
bicicletta, la faccio cadere a peso morto per terra.
Cioè nonono,
momento, momento, mooomento, momento.
Cioè fanno 'sto
mercato da decenni, la polizia non se lo è mai inculato de pezza e
quando fanno un retata, per altro molto spettacolare?
Due minuti dopo
che io compro la bici.
(ancora
oggi, pensando a quella scena, bestemmio in aramaico antico)
Il
superpoliziotto mi prende sotto braccio e mi porta dai colleghi,
cazziandomi neanche fossi un bimbone speciale che fa una marachella
speciale:
“Lo sai che
non si rubano le bici?”
“Sì ma io non
l'ho rub...”
“Potresti
finire nei guai, lo sai?
“L'ho comprata la bi...”
“Di dove sei,
eh? Rumeno? Tunisino? Marocchino?”
“Abruz...”
“Ora ti faccio
passare io la voglia di rubare!”
Vabbò allor
parla solo tu.
Fatto sta che, a
fatica, riesco a spiegare che non sono un ladro seriale di bici e
ferri da stiro e che quella bici l'ho comprata, senza scontrino e
niente fattura, però non l'ho rubata.
Ok, 'ste cose
non si fanno, le bici rubate non si comprano, non è così che gira
l'economia, se non quella sommersa, in questo caso elettrodomestici e
bici di contrabbando.
Ma, perdindirindio, proprio a me
devono succedere 'sti fatti?
(I
know, tipico discorso italiota scarica-barile, ma sul momento
maledicevo il destino porco bastardo)
Mettono la bici,
che tra le altre cose, non è destinata a me, sul camioncino carica
bici e mi sfanculano, ammonendomi: “alla prossima volta non la
passerai così liscia!”
Il Terrore della
Maiella.
Torno da Amico
Altissimo e decidiamo il da farsi.
Ma perché no,
facciamoci prende per culo un altro po' dalla guardia civil.
Torniamo dalle
guardie e imploriamo, tipo sceneggiata napoletana, di ridarci la
bici.
Il
Mariomerolismo applicato all'acquisto di contrabbando.
“Felicissima
notte a
tutte 'sti signure in divisa e
a chesta cummitiva accussi allera di
poliziuotte scicche e gitane pittate chest
e' 'no mercato decoroso tutte
cu 'e divis di poliziuotte 'sti signure e'
i' ca so' sciso 'a coppa dall'Italia bella senza
cerca' o permesso compro i' pure chi
so che ve ne 'mporta aggio
araputa 'a porta del vostro cuore e
so' trasuto cca' musica
musicante (c'era
un'orchestra di musicisti rom, per l'occasione) fatevi
mordo onore stasera
miezo a st'uommene aligante abballa
un ciclista senza biciclett' no
signore guardia sentite
a me nu ve mettite scuorno io
pe' ve fa' signore aggio pedalato e
sto' pedalando ancora notte e ghiuorno".
"ridaaaaaamm 'a biiiiiiiiiiiiciiiiiiiiiiiiii"
Di
tutta risposta, la polizia, inizia a apostrofarci con Volare oh oh
volare oh oh oh, italiannini, checazzzodicce (con inequivocabile
gesticolare) e capuccinno.
Mancano
solo un mandolino, una pizza, un piatto di pasta e Sofia Loren.
Degli
stereotipi viventi.
Insistiamo,
al che lo sbirro più cattivo (ché in questo caso ci sono lo sbirro
quasi buono, quello che te pija ppe' culo, quello cattivo e quello
più cattivo) sbrocca come i regazzini e ci minaccia nemmeno troppo
velatamente.
“MI
AVETE ROTTO IL CAZZO! ORA MI DAI I DOCUMENTI! TI BECCHI UNA BELLA
DENUNCIA!”
(da
notare il passaggio da il VOI mi avete rotto il cazzo al TU ti prendi
la denuncia)
“Ehm,
non ho i documenti”.
(mani
in faccia della guardia, come per dire “ma chi cazzo è 'sto
cojone, tutte a me capitano, ma non potevo fare il ragioniere come
diceva mia madre?”)
“vabbè
dimmi il tuo nome”.
Non
so perché, non mi chiedete il motivo, ma mi è venuto in mente
questo nominativo:
Felice
Mastronzo.
Nei
cassetti della memoria arriva sempre il momento in cui devi fare i
conti con le cazzate che ricordi, o spari a capocchia.
Felice
Mastronzo, da quello che rimembro, era un ospite del Maurizio
Costanzo Show, ospite proprio per quel motivo: il nome da scemo.
Ecco,
io senza pensarci per una notte sono stato Felice Mastronzo, o, più
semplicemente, per gli amici, Stronzo.
E
vai di cavolate: nome padre? Calogero. Nome madre? Addolorata.
Indirizzo? Calle de Esta Polla 23, e via dicendo.
Ovvio,
mi volevano far cacare sotto, mica arrestare, ma resta il fatto che
erano una banda di poliziotti mastronzi.
Mi ridanno foglio di denuncia, con i suddetti dati falsi (che posseggo ancora gelosamente attaccato al muro vicino alla laurea), e mi dicono:
“se
rivuoi la bici porta lo scontrino della bici al nostro deposito”.
Allor
si scem.
Se
ti ho appena detto che l'ho comprata qui.
Scuoto
la testa e addio bici ciao.
Io
e Amico Altissimo
ce ne andiamo
con le bici nel sacco.
Decido
di tornare a casa mia, vicina comunque al luogo della più grande retata di
elettrodomestici e bici rubate della storia della Penisola iberica.
Senonché,
vedo a poche centinaia di metri dal focolare domestico, un mio amico
riverso su un cespuglio, mezzo tramortito, l'Avvocato.
“mpffmpfm
aiut'm mpffmpf uuuuhhaaaaaaaa (vomita) pippiacer uà mannaccia 'a
marosk, accompagn'm dalla mia ragazza a cui voglio tanto bene e a cui
ho messo le corna solo quelle 7/8 volte nei cessi dei locali di tutta
Valenci, ià piffavor uuuuuhaaaaaa (rivomita)”.
(era
oramai consuetudine accompagnare quel povero cristo ubriaco, ché si
ubriacava alla seconda birra, a casa della fidanzata. A volte, se non
lo vedevo, o ubriaco o riverso vicino casa mia, mi preoccupavo. Ma
seriamente.)
“Sai,
oggi ho coronato il mio sogno d'amore con l'american...”
“Mavafangul!
Chell è 'na puttana! Pucchiacchia, ma puttana. Siend a me, lascia
perdere, scopa più che puoi, quante ne puoi, bionde, bulgare,
bergamasche, i'cuopp' di tutte le nazionalità. Sennò che cazzo sei
venuto a fa?!”
“Ma
tu non sei fidanzato?”
“Sì,
infatti per me è diverso, io lo dicevo per te.”
Dopo
questi sottili ragionamenti, lo lascio nell'ascensore del palazzo
della tipa, ripiegato su se stesso come uno Startac primo modello.
Arrivo
finalmente a casa.
Con,
in più, una speranza d'amore, un amico pseudo-vip, una falsa
denuncia della guardia civil e una perla di saggezza sul senso di
quest'anno d'Erasmus.
Che
poi c'è un motivo se lo chiamano Orgasmus.
Ed
ognuno lo vive come meglio crede, molti si sentono costretti ad
essere il tipico erasmus superficiale e interessato alla fregna.
Altri, la minoranza, no.
Ma,
credo che il senso sia quello. Vivere un anno diverso dagli altri,
cercando di ribaltare, oltre che più donne possibili, la visione che
si ha di sé stesso. Non essere il solito io, ma uno migliore,
brillante, ecc. Un io diverso, all'estero, per un periodo limitato
di tempo.
Tanto
la vacanza di un anno finisce e tu ritorni ad essere lo stesso
sfigato di sempre (e che hai continuato ad essere in Erasmus, solo
non ne eri consapevole).
(per
la cronaca: la coinqui stava bene, era a casa con una borsa di
ghiaccio sulla nuca e se magnava pane e nutella; ho controllato su
Youtube se lo svedese del Vivident fosse effettivamente quello che
millantava di essere. Era lui; l'americana mi ha scaricato subito
dopo con una mail dal titolo “Io ti voglio bene, ma come amichetto”. Mortacci sua.)