sabato 26 aprile 2014

IL 25 APRILE, PRATELLO

Che poi sta festa me la ricordo dalle elementari.
Si inaugurava la lapide dei caduti del mio paese.
C'era la mia classe, c'era la classe di mia madre, allora ancora maestra, c'erano tutte le classi, ovviamente.
C'è anche il nonno lì”, mi disse mia madre.
Mio nonno, suo padre, è morto nel 1943, a causa di una mina, mentre lavorava la terra, mia madre aveva due anni.
Nonno Nicola è per me la foto sulla sua tomba e lo sguardo di Mamma che lo prega in silenzio e che ancora oggi lo va a pregare.
Siamo stati sfollati io e tuo padre, ma poi la guerra è finita e siamo tornati a casa”.
La casa non c'era più, non c'era nulla, un paese e un territorio distrutto, devastato, da bombardamenti e combattimenti casa per casa, terreno per terreno. Fino a pochi anni fa c'erano ancora le cave dove ci si rifugiava durante i bombardamenti.

Mio padre me l'ha sempre raccontata la guerra, i suoi ricordi, Fritz il soldato tedesco con cui aveva fatto amicizia, le SS che erano teste de cazzo e menavano, nel migliore dei casi, botte da orbi, così, perché erano e rimarranno teste de cazzo, lo sfollamento nell'entroterra abruzzese, il freddo, la fame, i soldati alleati nascosti dalla mia famiglia, il papà adolescente che tagliando per fratte aiutava i suddetti soldati a scoprire gli avanposti tedeschi.
La guerra l'ho avuta a casa.
E, mesi fa, per caso, su Rai Storia, ho visto un documentario su la guerra a casa mia, e c'era mi padre che raccontava e raccontava e io già le sapevo 'ste cose, ma mi commuovevano lo stesso.




Mi riprendo dalla sbronza della sera prima, bevo caffè, mangio, cazzeggio, ridormo, se non fosse che è il 25 aprile non uscirei.
Il punto è che il 25 aprile e voglio uscire.
Voglio andare al Pratello, mi voglio prendere una birra, stare dal pomeriggio a notte fonda a parlare, sentire musica, sentire i miei amici che mi dicono auguri! buona festa della liberazione!, sentire testimonianze di quel periodo, vedere mostre, vedere documentari, vedere tornei di briscola, parlare con perfetti con sconosciuti alla fila del cesso (e, nel caso specifico, non pisciare per strada che oggi non piscio per strada, oggi no), sentire il fricchettonismo maledetto mischiarsi con i vecchi partigiani con i loro fazzoletti, mano nella mano con i nipoti.
E immaginare che a quei nipoti raccontino quello che mio padre mi raccontava.
Educarli alla resistenza, educarli alla storia, la nostra storia, educarli al bene affinché nel futuro il bene si compia, in contrapposizione al male assoluto di quegli anni.
Si cresce così.
Io, senza quei racconti, non sarei quello che sono.
Non avrei lo stesso rispetto per concetti astratti come umanità, eroismo e coraggio.
Anzi, non avrei mai conosciuto questi valori.
Il 25 aprile, a Bologna, al Pratello, io commemoro, a modo mio, chiaro, questi valori.
Pure se gioco a briscola.
Pure se gioco a biliardino.
Pure se scherzo con gli amici che sono lì per lo stesso mio motivo. Commemorare.
Pure se nel frattempo vedo la Roma schiantare il Milan con uno dei gol più belli che ricordi.

Quel gol l'ha fatto Miralem Pjanic. E voi direte esticazzi so' calciatori i soldi viziati il suv le veline la bamba a lavorare andate a lavorare.
No. Miralem Pjanic è bosniaco, ed è cresciuto in Francia perché la sua famiglia è scappata dalla guerra nell'ex-Jugoslavia, una famiglia sfollata come la mia.
Miralem Pjanic è portatore sano di testimonianze di guerra, è stato educato come lo sono stato io.
Ha vissuto indirettamente la guerra e, idealmente, ha voluto omaggiare il 25 aprile con un capolavoro calcistico.
E lo so, il paragone è altamente blasfemo, ma quando Miralem mi ha serpentinaggiato tra le maglie rossonere io ho pensato questo.



Il 25 aprile è il veicolo per ricordarci che abbiamo una Storia Esemplare.
Di cui essere orgogliosi.



                          

Nessun commento:

Posta un commento