Che
poi sta festa me la ricordo dalle elementari.
Si
inaugurava la lapide dei caduti del mio paese.
C'era
la mia classe, c'era la classe di mia madre, allora ancora maestra, c'erano tutte le classi,
ovviamente.
“C'è
anche il nonno lì”, mi disse mia madre.
Mio
nonno, suo padre, è morto nel 1943, a causa di una mina, mentre
lavorava la terra, mia madre aveva due anni.
Nonno
Nicola è per me la foto sulla sua tomba e lo sguardo di Mamma che lo
prega in silenzio e che ancora oggi lo va a pregare.
“Siamo
stati sfollati io e tuo padre, ma poi la guerra è finita e siamo
tornati a casa”.
La
casa non c'era più, non c'era nulla, un paese e un territorio
distrutto, devastato, da bombardamenti e combattimenti casa per casa,
terreno per terreno. Fino a pochi anni fa c'erano ancora le cave dove
ci si rifugiava durante i bombardamenti.
Mio
padre me l'ha sempre raccontata la guerra, i suoi ricordi, Fritz il
soldato tedesco con cui aveva fatto amicizia, le SS che erano teste
de cazzo e menavano, nel migliore dei casi, botte da orbi, così,
perché erano e rimarranno teste de cazzo, lo sfollamento
nell'entroterra abruzzese, il freddo, la fame, i soldati alleati
nascosti dalla mia famiglia, il papà adolescente che tagliando per
fratte aiutava i suddetti soldati a scoprire gli avanposti tedeschi.
La
guerra l'ho avuta a casa.
E,
mesi fa, per caso, su Rai Storia, ho visto un documentario su la
guerra a casa mia, e c'era mi padre che raccontava e raccontava e io già
le sapevo 'ste cose, ma mi commuovevano lo stesso.
Mi riprendo dalla sbronza della sera prima, bevo caffè, mangio, cazzeggio, ridormo, se non fosse che è il 25 aprile non uscirei.
Il
punto è che il 25 aprile e voglio uscire.
Voglio
andare al Pratello, mi voglio prendere una birra, stare dal
pomeriggio a notte fonda a parlare, sentire musica, sentire i miei amici che mi dicono auguri! buona festa della liberazione!, sentire
testimonianze di quel periodo, vedere mostre, vedere documentari,
vedere tornei di briscola, parlare con perfetti con sconosciuti alla
fila del cesso (e, nel caso specifico, non pisciare per strada che
oggi non piscio per strada, oggi no), sentire il fricchettonismo
maledetto mischiarsi con i vecchi partigiani con i loro fazzoletti, mano nella mano con i nipoti.
E
immaginare che a quei nipoti raccontino quello che mio padre mi
raccontava.
Educarli
alla resistenza, educarli alla storia, la nostra storia, educarli al
bene affinché nel futuro il bene si compia, in contrapposizione al
male assoluto di quegli anni.
Si
cresce così.
Io,
senza quei racconti, non sarei quello che sono.
Non
avrei lo stesso rispetto per concetti astratti come umanità, eroismo
e coraggio.
Anzi,
non avrei mai conosciuto questi valori.
Il
25 aprile, a Bologna, al Pratello, io commemoro, a modo mio, chiaro,
questi valori.
Pure
se gioco a briscola.
Pure
se gioco a biliardino.
Pure
se scherzo con gli amici che sono lì per lo stesso mio motivo.
Commemorare.
Pure
se nel frattempo vedo la Roma schiantare il Milan con uno dei gol più belli che ricordi.
Quel
gol l'ha fatto Miralem Pjanic. E voi direte esticazzi so' calciatori
i soldi viziati il suv le veline la bamba a lavorare andate a
lavorare.
No.
Miralem Pjanic è bosniaco, ed è cresciuto in Francia perché la sua
famiglia è scappata dalla guerra nell'ex-Jugoslavia, una famiglia sfollata come
la mia.
Miralem
Pjanic è portatore sano di testimonianze di guerra, è stato educato
come lo sono stato io.
Ha
vissuto indirettamente la guerra e, idealmente, ha voluto omaggiare
il 25 aprile con un capolavoro calcistico.
E
lo so, il paragone è altamente blasfemo, ma quando Miralem mi ha
serpentinaggiato tra le maglie rossonere io ho pensato questo.
Il
25 aprile è il veicolo per ricordarci che abbiamo una Storia
Esemplare.
Di
cui essere orgogliosi.
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