lunedì 11 novembre 2013

I LOVE THIS GAME?

Salerno, 10 novembre 2013

Si è toccato il fondo? Si è arrivati ad un punto di non ritorno? Hanno vinto i “cattivi”? Ha perso il Calcio?

Andiamo con ordine, che sennò 'ste prime quattro frasi non significano una ceppa: la fredda cronaca.
Ieri a Salerno è andata in scena l'ennesima farsa dello sport italiano: si presume che alcuni presunti ultras/tifosi della Nocerina abbiano intimato/chiesto (minacciato? Ad ora non si può chiarire) ai giocatori della propria squadra di non scendere in campo.
Il motivo? Il divieto di poter assistere, dopo 20 anni, al derby Salernitana-Nocerina di Prima Divisione (ovvero la serie C), in (non) ottemperanza alla famigerata Legge Maroni, quella della tessera del tifoso. I tifosi nocerini erano tesserati e, teoricamente, avrebbero potuto assistere al match.
Invece, il prefetto di Salerno ha deciso il contrario: partita alle 12,30, così quei mangioni che non si perdono un pranzo dei tifosi della Nocerina avrebbero disertato in massa. Ma mettiamo che qualcuno decida di saltare il pranzone domenicale: ora? Mmmm, dai vietiamola completamente, sticazzi del derby.

Risultato? Alcuni tifosi della Nocerina si presentano sotto l'albergo della squadra, per:
- secondo la stampa, minacciare di morte calciatori, allenatore, magazziniere, ecc, 'nsomma la società, intimandole di non scendere in campo;
- secondo gli stessi ultras nocerini, chiedere al mister e alla squadra un gesto eclatante, che facesse parlare l'Italia intera e che scuotesse il sistema. Un gesto che desse voce all'ingiustizia subita dai tifosi a cui preventivamente e senza alcuna prova d'appello è stata negata la trasferta".




Risultato/2? Dopo una lunga trattativa fra staff tecnico e prefetto, si decide di entrare in campo con mezz'ora di ritardo. Entrare per modo di dire, visto che al primo minuto l'allenatore della Nocerina opera già i tre cambi e, nel breve volgere di quindici minuti, cinque giocatori si “infortunano”, neanche avessero incontrato Chiellini, Pasquale Bruno e Pablo Montero tutt'insieme e tutti incazzati abbestia, costringendo l'arbitro a sospendere la partita.

Apriti cielo.
Raffica di daspo (ovvero il divieto di accedere alle manifestazioni sportive), che di solito vengono dati a comando e a capocchia, e facili, retoriche e moralistiche polemiche di giornalisti, politici e soloni/dirigenti dello sport italiano, noti (almeno due categorie su tre) per essere un fulgido esempio di moralità e legalità.

Ora, le autorità competenti giudicheranno chi, come, quando ha sbagliato/commesso eventuali reati. Fatto sta, che alcune riflessioni mi sembrano d'obbligo:
- a cosa minchia serve la tessera del tifoso, se non a “discriminare territorialmente” il tifoso non violento, che rappresenta il 95% del totale (ditemi voi se ha senso che io, in quanto non residente nella provincia di Roma, non posso vedere Roma-Napoli) e a fare salti mortali per comprare un biglietto (quando, vent'anni fa, mio padre la domenica mattina, valutava il tempo e decideva così all'improvviso, di portarmi allo stadio, facendomi un inaspettato e bellissimo regalo);
- chiudere stadi e curve, vietare trasferte è veramente utile? No, perché la maggioranza degli scontri è FUORI gli stadi e quei pochi scontri che ci sono all'interno accadono a prescindere dalla legge Maroni. Se proprio avessero voluto, nulla avrebbe vietato agli ultras della Nocerina di andare lo stesso a Salerno a scontrarsi con i corrispettivi salernitani;
- l'utilità di parlare, anacronisticamente e in maniera grossolana di “modello inglese”, da esportare in Italia. In Inghilterra tre anni fa è morto un tifoso all'interno di uno stadio, per le percosse subite da tifosi avversari: Lo sapevate? Beh, sapevatelo. Sapete ora com'è fatto una stadio inglese? Un teatro all'aperto: prezzi esorbitanti, non puoi alzarti, non puoi imprecare troppo, non puoi fumare, non ti puoi portare il panino con la frittata da casa.
Gli scontri e la violenza non sono spariti di colpo (certo loro sono “partiti” da una tragedia immane, che è stata Hillsborough), ci sono ancora, meno pubblicizzati. Inoltre, gli stadi non sono sempre pieni, come pensiamo in Italia. Ma poi avete presente uno stadio italiano, paragonandolo poi a livello infrastrutturale ad uno inglese?
- Secondo voi gli italiani non vanno allo stadio per la violenza? Sapete che fino agli '90 la serie A era il campionato con più spettatori nel Mondo? C'erano scontri? Certo.
Eppur si andava. A nessuno viene in mente che le Tivvù, gli scandali a cadenza (come minimo) biennale e la deriva megalomano-economica siano, se non altro, concause?
- Negli ultimi, il campionato con più spettatori in Europa è quello tedesco, la Bundesliga.
A prescindere da una gestione molto più equa di questioni economiche, tipo diritti tv e altre menate del genere, in Germania i gruppi organizzati molte volte agiscono CON le società calcistiche (una cosa del genere ce la sogniamo), organizzano iniziative lodevoli come questa qui  e non subiscono restrizioni di alcun tipo (anzi molti stadi, anche nuovi, hanno previsto al loro interno una zona in cui chi vuole se vede la partita in piedi, old style).
- Lungi da me difendere chi adotta la violenza come veicolo per ottenere un risultato, ma se quei 1000/2000 fossero andati a Salerno sarebbe successo questo bordello? Fermo restando che l'eventuale stupidità violenta si sarebbe potuta concretizzare anche per strada.

È un calcio maaaaalaaato, ma le cause non sono riconducibile solo agli ultras.

C'è dell'altro che ci (mi) fa sperare in bene.

Roma, 10 novembre 2013

C'è chi, con occhi vergini e senza pregiudizi, allo stadio ci va, per la prima volta.
Mio nipote, quasi 7 anni, con quell'incoscienza tipica del bambino, che nemmeno sa se e quale squadra tifare. Va con lo zio (l'altro, io purtroppo non c'ero) a vedere Roma-Sassuolo.
Al di là del fatto che con quel gol demmerda all'ultimo minuto, speriamo di non “averlo perso” a favore di una squadra strisciata (ma vabbè, lo ameremmo comunque), un bambino non vede il marcio del “calcio moderno”, né la violenza degli ultras.

La mia prima volta allo stadio fu a 5 anni, Roma-Ascoli 0a0, giocata a Pescara. Forse ero troppo piccolo per ricordare nitidamente tutto. Ho flash, di quel giorno.
Ricordo tutto della mia prima volta in un grande stadio: Cecoslovacchia-CostaRica, ottavi di finale dei Mondiali del '90. Ricordo la mia prima volta all'Olimpico, a 9 anni, Roma-Pescara: ricordo la meraviglia di quelle astronavi, ché a me sembravano astronavi prese dai cartoni animati dell'epoca, trapiantate nel mondo reale.
Ricordo che vedendo tutto quel giallorosso, tutto quel bordello, i canti, il tappeto verde che si parava dinanzi alla mia di allora personcina, rimasi così, stile Paul da piccolo di Febbre a 90°

Ecco, non proprio così.


Nello specifico, non so cosa rimarrà a mio nipote di questa giornata. Se avvierà una qualche passione calcistica o meno, se la ricorderà come la ricordo io.
So solo che una certa passione, il calcio in questo caso, se ti prende quando hai gli occhi del neofita, del bambino, non ti lascerà più.
Sei affascinato innatamente da un qualcosa che non sai spiegare, perché nemmeno te la poni la domanda. Ti piace e basta.
Il pallone che rotola, le imprecazioni per 90 minuti, i cori, le esultanze, le delusioni (per la cronaca, la mia prima volta all'Olimpico finì con una, come direbbe Bruno Pizzul, inopinata sconfitta) l'amore per il rosso e il giallo che si giustappongono (per me) magicamente.
Lo ami, a prescindere dal male che si annida in esso.

E a chi dice “questo non è il mio calcio”, rispondo non che “il calcio è di chi lo ama” (sicuramente non lo ama la Tim), ma che “il calcio (o la passione X) lo ami e basta, senza sapere cosa significhi né l'amore, né le parole sky e champions league”. Senza a starci a ragionare su.
E continuerai a seguirlo, lamentandoti del suo marcio, ma rispettandolo.
Anche quando scuoti la testa e pensi, anche per uno sbagliato secondo, “così non va”.
Ché ce l'hai dentro, che tu lo voglia o no.


                                                     Classicone

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