lunedì 25 novembre 2013

PARTENZE

Non lasciarti sgomentare dagli addii. Un addio è necessario prima che ci si possa ritrovare. E il ritrovarsi dopo momenti o esistenze, è certo per coloro che sono amici.”
Richard Bach



Avevo un frigo con tante calamite, di tante città diverse, comprate da tanti diversi coinquilini che erano stati nelle tante città diverse per vacanza, amore, piacere, Erasmus (quindi scopare).

Un giorno, il giorno di ordinaria follia, chiusi gli occhi e ne estrassi una.
La calamita, secondo la sua propria natura, mi avrebbe “attratto” da qualche altra parte.
Australia.
Minchia troppo lontano.
Ne riestrassi un'altra.
Australia.
Ma quante calamite dell'Australia ci sono? Due su quaranta. Delfino Destino?
Vabbè ritento, pensai.
Kazakistan.
Me sa va bene Australia và, dall'altra parte del Mondo e con lo scarico che scarica al contrario.

Dovevo scappare, dovevo provarci e avevo paura di farlo.
La mia vita scorreva barcamenandomi da una precarietà all'altra: lavoricchiavo, amavo e odiavo, vedevo gli stessi luoghi, le stesse persone e abitavo oramai da anni in un casa che aveva le sembianze di una fermata di un bus.
La casa era la fermata e il bus un'altra meta.
Tutti lo prendevano in orario tranne me.

Mi cacavo sotto solo all'idea.
Allora perché lo faccio? Per necessità, voglia di stabilità, spirito d'avventura?
Per paura, pura paura.
Ché, arrivato a 30 anni e più, l'asticella, in mancanza d'altro, bisogna pur alzarla.
E ricominciare da zero per qualcuno è da stimolo e fomento, per me è solo terrore dell'ignoto, del non capire una parola (visto che il mio inglese è a livello Aldo Biscardi).
Ma, si sa, da denghiu nasce thank you e poi anche i più fessi ce la fanno, perché io non dovrei?

Lessi da qualche parte che la paura serve per essere esorcizzata, sconfitta.
D'accordo in parte, se una paura la sconfiggi, ne arriva subito un'altra: per esempio, e spero sia il mio caso, quella di tornare.
Ho solo bisogno di cambiare paura. Di poterne gestire un'altra, di un'altra sfida cacante sotto.
E poi, diciamocelo, fa figo dire “mollo tutto e vado in Australia”.
Nel mio caso no. Nel mio caso mi sento in colpa di non aver trovato l'Australia in Italia, di dover abbandonare affetti, abitudini sociali, gastronomiche, economiche; e poi c'è la routine puttana, che odio e di cui nello stesso tempo non posso fare a meno. Se non altro perché la conosco.

Ora sono in aeroporto.
Aspetto la chiamata del mio volo di duemila ore con 4 scali incorporati.
Nei giorni scorsi ho salutato tutti, ho festeggiato l'addio, o dato l'addio ai festeggiamenti, non l'ho ancora capito.
Appuntamenti su Skype e su Whatsapp e “dai che sto un annetto e poi torno”, che cosa è un anno se non un apostrofo rosa tra le parole chi cazzo e me l'ha fatto fare.

Non so dove dormirò (sì, in ostello per i primi giorni, ma poi), non so di cosa camperò, non so chi conoscerò, non so cosa farfuglierò, non so nemmeno dove mi stabilirò. E se poi mi trovo male, e se poi me ne pento?
Dai andrà bene su su, ho tanti contatti di amici di amici di non amici di conoscenti che sicuramente mi faranno sentire come a casa mia.
Ma io a casa mia stavo demmerda.
Non ne esco più.

Hanno chiamato il mio volo, mi devo imbarcare.
Ora scappo scavalcando con un doppio salto mortale rovesciato il metal detector, oddio devo andare al cesso, mi scappa da cacare, la pipì, ho le mie cose, cazzo sono un uomo non posso averle.
Va bene, spegni il cervello stronzo.

Mi imbarco. Mi sistemo nel mio posto.
Togliendomi la giacca, noto nella tasca interna un bigliettino.
A parte il fatto che ignoravo di avere una tasca interna nella giacca, è datato 26 novembre 2013, oramai anni e anni fa.
È di una persona speciale, la mia migliore Amica, emigrata proprio quel giorno, proprio in Australia. Lei aveva le mie stesse paure, le stesse paranoie.

Ciccio,
non aver timore,
ce la farai nel modo in cui ce l'ho fatta io,
dimostrando a tutti che bella persona sei,
sii sempre te stesso.

Nuni"



Ciao Amica,

a presto

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