Non
parlo di regimi comunisti anacronistici, né di Hyundai e tampoco di
colletti di camicie. Anzi i colletti alla coreana mi piacciono, le
poche camicie che indosso sono senza colletto.
Dove
ero rimasto. Ah si, ai coreani.
Mi
riferisco al Cinema Coreano.
L'altro
giorno il Festival del Cinema di Venezia ha decretato il suo
vincitore. Kim Ki Duk, col film Pietà
No,
per pietà, dico. Kim Ki Duk.
Negli
ultimi anni questo regista, per me (ma non solo), ha rappresentato
una persecuzione, oltre ad essere uno dei più forti sonniferi
naturali che l'uomo abbia creato.
O
lo ami o lo odi. Tipo la trippa.
Per
carità, belli i suoi film, poetici, l'amore, spaccati della società,
bla bla bla e, soprattutto il mutismo.
Due
ore di gente che si guarda, a volte nemmeno quello, e basta. Non
parlano, si fissano per cinque minuti e agiscono.
Come
fanno?
Non
sono uno di quelli che schifano i film più o meno poetici, più o
meno filosofici, più o meno garbati, anzi. Ma qui si esagera.
Esempio
uno: in Primavera,
estate, autunno, inverno... e ancora primavera. Un'ora
e mezza di monaci di buddisti in silenzio che contemplano la natura.
Ricordo i miei coinquilini crollare uno ad uno sul divano, come
fossero stati ipnotizzati da Giucas Casella. “DORMI
DORMI DORMI QUAAANDO TE LO DICO IO!” Bum.
Tutti, metaforicamente, giù per terra.
Io
ero sveglio, stoicamente, e avendo letto recensioni entusiaste,
aspettavo una svolta. “Ecco
mò succede qualcosa, no no, aspè ora la scena questa è bella si si
dai mò iniziano a parlà, ci sarà almeno un limone”.
Niente.
Per
lo meno mi è stato da monito, per le proposte di visione future.
Sempre
rifiutato di vedere Kim Ki Duk et
similia. Il
similia sta per film pseudo-poetici di produzione asiatica orientale.
Un mio amico, che evidentemente la pensa come me, così recensisce
Lanterne
Rosse:
“inghia
(vabbè chi lo conosce capirà chi sia) Lanterne Rosse ti scassa la
minchia, inizia con uno che suona un gong poi si sente AAAAAAAAA poi
DOOONGG, poi fanno AAAAAAA e ancora DOOONGG. Inghia non ha senso.”
Molto
probabilmente tutte queste elucubrazioni sono il frutto di un
pregiudizio cinematografico non giustificato.
In
seguito è arrivato Ferro
3.
E
ci sono ricaduto.
La
trama è la storia di un tizio che entra di soppiatto in case di
gente che va in vacanza (dunque momentaneamente vuote) e si fa li
cazzi sua, senza rubare nulla. In seguito incontra una tipa, lasciata
a casa durante le vacanze, con cui avvia una relazione.
Tutto
in teoria molto interessante, spunto e sinossi veramente notevoli.
Il
problema è che il tutto si sviluppa senza un dialogo che sia uno.
Esempio
due: lui entra in una casa con lei, chiaramente senza domandarle
nulla (che so “oh
ma che dici sta casa? Ti piace? O la vuoi col giardino?).
Ha fame. Si fa una spaghettata. Mette l'acqua a bollire e poi la
fissa intensamente. Lei ricambia lo sguardo. Lui cucina anche per
lei.
"Marì vù le penne rigate o le conchiglie?" |
Cioè,
piuttosto che chiederle “Hai
fame? La vuoi la pasta? Col tonno o ci facciamo la carbonara? Ti ci
piace la cipolla? E l'aglio?”,
lui “parla”con lo sguardo, a mo' di tressette, tipo cennetti. Lei
telepaticamente recepisce e non solo gli fa capire che, sì, anche
lei si vuole sforchettare nù bell piatt 'i maccarun, ma addirittura
indica la quantità e il tipo di pasta che vuole.
Ma
che sublimi momenti poetici.
Provai
ad addormentarmi ma venivo svegliato a gomitate. Cinque/dieci minuti
però li ho sfangati.
Che
poi Kim Ki Duk è un istrione di per sé: appena subito dopo
l'annuncio del Leone d'Oro, lui va a ritirare il premio e che fa?
Canta.
Mi
sarei aspettato massimo un cenno di capo di saluto. Invece canta.
La
prossima volta (sperando non ci sia) salirà sulle poltroncine alla
Benigni.
Che
dire, non me ne vogliano gli amanti di Kim e del cinema
colto/muto/poetico asiatico.
Ma
non ce la faccio. Tutto troppo incomprensibile ai miei poveri occhi
dozzinali cresciuti a colpi di Ghostbusters
e
Johnny
Stecchino
(no, i cinepanettoni mi fanno cacare).
La
mia kryptonite cinematografica si chiama Kim Ki Duk, anche più di
Antonioni.
Ah
(sospiro), Antonioni.
Ma
questa è un'altra storia.
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