martedì 11 settembre 2012

IDIOSINCRASIA COREANA

Non parlo di regimi comunisti anacronistici, né di Hyundai e tampoco di colletti di camicie. Anzi i colletti alla coreana mi piacciono, le poche camicie che indosso sono senza colletto.
Dove ero rimasto. Ah si, ai coreani.
Mi riferisco al Cinema Coreano.
L'altro giorno il Festival del Cinema di Venezia ha decretato il suo vincitore. Kim Ki Duk, col film Pietà
No, per pietà, dico. Kim Ki Duk.
Negli ultimi anni questo regista, per me (ma non solo), ha rappresentato una persecuzione, oltre ad essere uno dei più forti sonniferi naturali che l'uomo abbia creato.
O lo ami o lo odi. Tipo la trippa.
Per carità, belli i suoi film, poetici, l'amore, spaccati della società, bla bla bla e, soprattutto il mutismo.
Due ore di gente che si guarda, a volte nemmeno quello, e basta. Non parlano, si fissano per cinque minuti e agiscono.
Come fanno?
Non sono uno di quelli che schifano i film più o meno poetici, più o meno filosofici, più o meno garbati, anzi. Ma qui si esagera.

Esempio uno: in Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera. Un'ora e mezza di monaci di buddisti in silenzio che contemplano la natura. Ricordo i miei coinquilini crollare uno ad uno sul divano, come fossero stati ipnotizzati da Giucas Casella. “DORMI DORMI DORMI QUAAANDO TE LO DICO IO!” Bum. Tutti, metaforicamente, giù per terra.
Io ero sveglio, stoicamente, e avendo letto recensioni entusiaste, aspettavo una svolta. “Ecco mò succede qualcosa, no no, aspè ora la scena questa è bella si si dai mò iniziano a parlà, ci sarà almeno un limone”.
Niente.
Per lo meno mi è stato da monito, per le proposte di visione future.
Sempre rifiutato di vedere Kim Ki Duk et similia. Il similia sta per film pseudo-poetici di produzione asiatica orientale. Un mio amico, che evidentemente la pensa come me, così recensisce Lanterne Rosse: “inghia (vabbè chi lo conosce capirà chi sia) Lanterne Rosse ti scassa la minchia, inizia con uno che suona un gong poi si sente AAAAAAAAA poi DOOONGG, poi fanno AAAAAAA e ancora DOOONGG. Inghia non ha senso.”
Molto probabilmente tutte queste elucubrazioni sono il frutto di un pregiudizio cinematografico non giustificato.
In seguito è arrivato Ferro 3.
E ci sono ricaduto.

La trama è la storia di un tizio che entra di soppiatto in case di gente che va in vacanza (dunque momentaneamente vuote) e si fa li cazzi sua, senza rubare nulla. In seguito incontra una tipa, lasciata a casa durante le vacanze, con cui avvia una relazione.
Tutto in teoria molto interessante, spunto e sinossi veramente notevoli.
Il problema è che il tutto si sviluppa senza un dialogo che sia uno.
Esempio due: lui entra in una casa con lei, chiaramente senza domandarle nulla (che so “oh ma che dici sta casa? Ti piace? O la vuoi col giardino?). Ha fame. Si fa una spaghettata. Mette l'acqua a bollire e poi la fissa intensamente. Lei ricambia lo sguardo. Lui cucina anche per lei.
"Marì vù le penne rigate o le conchiglie?"
Cioè, piuttosto che chiederle “Hai fame? La vuoi la pasta? Col tonno o ci facciamo la carbonara? Ti ci piace la cipolla? E l'aglio?”, lui “parla”con lo sguardo, a mo' di tressette, tipo cennetti. Lei telepaticamente recepisce e non solo gli fa capire che, sì, anche lei si vuole sforchettare nù bell piatt 'i maccarun, ma addirittura indica la quantità e il tipo di pasta che vuole.



Ma che sublimi momenti poetici.
Provai ad addormentarmi ma venivo svegliato a gomitate. Cinque/dieci minuti però li ho sfangati.

Che poi Kim Ki Duk è un istrione di per sé: appena subito dopo l'annuncio del Leone d'Oro, lui va a ritirare il premio e che fa? Canta.
Mi sarei aspettato massimo un cenno di capo di saluto. Invece canta.
La prossima volta (sperando non ci sia) salirà sulle poltroncine alla Benigni.

Che dire, non me ne vogliano gli amanti di Kim e del cinema colto/muto/poetico asiatico.
Ma non ce la faccio. Tutto troppo incomprensibile ai miei poveri occhi dozzinali cresciuti a colpi di Ghostbusters e Johnny Stecchino (no, i cinepanettoni mi fanno cacare).
La mia kryptonite cinematografica si chiama Kim Ki Duk, anche più di Antonioni.
Ah (sospiro), Antonioni.

Ma questa è un'altra storia.

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