“...a
volte mi fisso sui kebab: la loro preparazione, lo stile con cui la
carne, che volteggia inesorabile, viene affettata. Poi mi ricordo di
quando ero bambina, di mia nonna, che a colazione mi regalava momenti
di pura eleganza. La sua concentrazione, la sua accuratezza, magari
un po' dozzinale, nel prepararmi il pan con chicharron, rimarranno
sempre impressi nella mia mente...”
Adelina
Gutierrez, “mitopoiesi di un'infanzia limeña”
Capita
che fai serata, tappa in diversi bar, il botellon, a cui, ça
va sans dire,
non si può rinunciare, ridi, scherzi, fai il coglione, bombardoni,
ecc. ecc.
Sei
brillo e hai l'allegrezza (rende più di allegria) del brillo.
Capita
che poi, durante la notte hai fame, molta fame. E l'amico kebab viene
in tuo soccorso. Magni, tutto soddisfatto. Finisci. E accade un
grande classico della sbronza:
impalmarsi.
Fissare qualcuno o qualcosa senza pensare a quello che vedi. Non
pensi, ti impalmi.
Di
solito mi impalmo su scritte sui muri, su cieli coperti dalla luce
(notare il sottile e involontario ossimoro) dei lampioni, su cani, su gente concentrata nel fare qualcosa tipo scrivere un messaggio, boh, cose così. Particolari insignificanti e, per questo, degni di essere
fissati senza attenzione.
Questa
volta, appoggiato su di un'auto parcheggiata, mi concentro sulla
vetrina del kebab, con all'interno clienti, in verità pochi, che
ordinano, degustano, bevono, si siedono, fanno un po' quello che je
pare.
È
pur sempre una kebabberia, il campo d'azione è limitato.
Invece
no.
Svegliandomi
dal torpore alcoolico, noto sul fondo del bancone, seduti su degli
sgabelli, uno di fronte all'altra, una coppia. Sui trentacinque e
forse più. Quelle coppie che Norah Ephron, pace all'anima sua,
avrebbe schifato.
Lei,
di spalle, brutta (direi, se mi passate il francesismo, quasi un
troiaio),
anonima, capelli tinti rossi ricci e orecchini di quelli rotondi, a
cerchio, grandi (descrivere un paio di orecchini per me è
un'impresa). Di più non riesco a focalizzare.
Lui,
invece, mi colpisce per un particolare: ha la giacca di quelle
fosforescenti gialle dell'Anas*.
Da lavori in corso. Probabilmente aveva appena staccato dal suo
turno, non ci aveva nemmeno pensato a togliersela.
Altro
particolare importante: non mangiano (cioè inconcepibile per me
entrare in una kebabberia e non mangiare), bevono una lattina di
birra Alhambra in due. La sorseggiano molto lentamente, più che
altro per far “scorrere” parole.
Si
stanno semplicemente creando un loro micro-mondo, dentro un fast-food
e lontani (mentalmente più che fisicamente) dal trambusto della
movida notturna, fatta di bar, bar, locale, bar, bar, locale,
cicchettaro. Lui, presumibilmente schiattato dalla nottata di lavoro.
Lei, aspettando, chissà da quanto, che lui finisse.
A
loro non importa come sono vestiti, dove sono. Importa parlarsi e
sorridersi goffamente, tra una sorsata ed un'altra.
Tentano
solo di procrastinare il momento in cui la lattina sarà finita e
dovranno ricrearsi un nuovo micro-mondo, un nuovo momento.
E
il loro sguardo dice: “nun
me ne frega un cazzo del mondo esteriore”.
Settimane
fa ero alla fermata del bus con la mia coinquilina, aspettavamo che
arrivassero altri amici per andare in un bar di tapas.
Passa
una limousine.
“-
Guardaaa una limousine!!! Anch'io vorrei andare una volta in limousine col mio
ragazzo, sarebbe una cosa romantica... - Mah, più che romantica mi
sembra 'na cosa 'na freca pacchiana. - Scusa cos'è per te una cosa
romantica?”
Bella
lì. Non lo so. Anni a crogiolarmi sul nulla e non avevo mai pensato
ad una questione così banale.
Forse
perché semplicemente la risposta è non
lo so.
Perché
il romantico, e in generale i momenti belli, memorabili, stupendi,
fantastici, ecc, della vita, quelli che ricorderai, che ti faranno
sorridere senza particolare motivo, che ti faranno venire voglia di
ascoltare Time of Your Life
(vabbè non esageriamo, scherzavo), non li esperisci lì per lì. Non
li sai. Diventano (in questo caso) romantici perché in partenza non
erano così, non dovevano essere così.
Li
diventano nell'azione che fai senza pensarci su, che fai perché
sinceramente hai voglia di fare in quel determinato momento.
Poi,
ma solo molto ma molto poi, dici “cazzo bella serata però oh!” e
altre amenità del genere.
Per
citare non il primo fesso passato per caso, anche Truffaut in Jules
e Jim sosteneva
che “La
felicità
si
racconta male perché non ha parole, ma si consuma
e
nessuno se ne
accorge”.
Quindi
cosa è romantico/memorabile?
Andare
in bici con lei, seduta sul manubrio, che ti copre la strada, tra
l'altro molto suggestiva, e ti indica dove andare, e urla, tra il
divertito e lo spaventato, ad ogni incrocio.
L'accompagni
a casa rischiando la drammatica caduta ad ogni metro, lo fai perché ti fa
piacere stare con lei, in modi che in seguito valuterai inconvenzionali e
irriverenti, senza secondi fini, e non programmi nulla di nulla.
Sedersi
in un'infima piazza tra infima gente essendo anche tu un po' infimo,
con le immancabili Peroni (importante è senza chitarre, bonghetti e
casini vari) e parlare non sapendo che ora si sia fatta, ricreandosi
lo stesso micro-mondo dei tipi del kebab. Non deve essere per forza
un rapporto del tipo ci
stupidiamo di chiacchiere ci stupidiamo d'alcool ci disinibiamo e poi
scopiamo,
né deve essere una sorta di sottotipo di cliché del corteggiamento.
Non scegli il luogo, gli argomenti, né i fini, a volte nemmeno la
tipa. Scegli la birra. Giusto quella.
Limonare
appoggiati al suo portone, scoprendo in seguito che le 2 ante del
suddetto portone erano aperte, e cappottandosi, alla Buster
Keaton,
l'uno addosso all'altra.
Il
momento si sublima, è in un certo senso romantico, perché è
l'imprevisto che lo rende tale. Imprevisto in questo caso comico.
Si
nota che il leit-motiv è rappresentato dalle situazioni
contraddittorie, le commistioni, le disarmonie o due opposti
sentimenti che si attraggono, che siano postodimerda/situazionefiga,
(pseudo)tragico/divertito o
comico/antilimone.
Non
è romantico tutto ciò già stabilito: i fiori, le cene, gli
anniversari, le limousine, le scritte d'amore sui muri, i tramonti/albe in spiaggia (con annessi foto da postare). In pratica
ogni cosa che indirizzi verso un dato fine. Non funziona così, è
codificarsi verso un dato clichè che si considera “sublime” ma,
che in fondo, fa anche un po' schifo.
C'è
sempre un “imprevisto disarmonico” di mezzo: è un oggetto, un
luogo o, nella maggior parte dei casi, sei tu.
Poi,
ad ogni modo, mi ritengo brusco, grezzo e poco fine nel pormi, nei
modi e nell'esperire, però, riflettendoci, possiedo un'estetica dell'immagine (seppur personalissima) e, soprattutto, della memoria.
Mia,
personale, che puoi raccontare solo a freddo.
Quando
le felicità si consumano e ne aspetti di nuove.
Magari
lo sono (felice) adesso e lo esperirò (confesso che ho cercato come
coniugare il verbo esperire) domani.
*molto
probabilmente, date le mie precarie condizioni visivo-motorie, il
tipo aveva solo un'elegante e sobria giacca gialla fosforescente. Ma
mi piaceva pensare fosse un operaio dell'ANAS.
figo
RispondiEliminabello
RispondiEliminaapprezzo l'elogio dell'imperfezione ;)
("siamto tutti tesori inesatti, voglio sperare")
Giulia