martedì 4 settembre 2012

L'AMORE AI TEMPI DEL KEBAB – PER UN'ESTETICA DELLA MEMORIA PERSONALE

...a volte mi fisso sui kebab: la loro preparazione, lo stile con cui la carne, che volteggia inesorabile, viene affettata. Poi mi ricordo di quando ero bambina, di mia nonna, che a colazione mi regalava momenti di pura eleganza. La sua concentrazione, la sua accuratezza, magari un po' dozzinale, nel prepararmi il pan con chicharron, rimarranno sempre impressi nella mia mente...”

Adelina Gutierrez, “mitopoiesi di un'infanzia limeña”


Capita che fai serata, tappa in diversi bar, il botellon, a cui, ça va sans dire, non si può rinunciare, ridi, scherzi, fai il coglione, bombardoni, ecc. ecc.
Sei brillo e hai l'allegrezza (rende più di allegria) del brillo.
Capita che poi, durante la notte hai fame, molta fame. E l'amico kebab viene in tuo soccorso. Magni, tutto soddisfatto. Finisci. E accade un grande classico della sbronza:
impalmarsi. Fissare qualcuno o qualcosa senza pensare a quello che vedi. Non pensi, ti impalmi.
Di solito mi impalmo su scritte sui muri, su cieli coperti dalla luce (notare il sottile e involontario ossimoro) dei lampioni, su cani, su gente concentrata nel fare qualcosa tipo scrivere un messaggio, boh, cose così. Particolari insignificanti e, per questo, degni di essere fissati senza attenzione.
Questa volta, appoggiato su di un'auto parcheggiata, mi concentro sulla vetrina del kebab, con all'interno clienti, in verità pochi, che ordinano, degustano, bevono, si siedono, fanno un po' quello che je pare.
È pur sempre una kebabberia, il campo d'azione è limitato.
Invece no.
Svegliandomi dal torpore alcoolico, noto sul fondo del bancone, seduti su degli sgabelli, uno di fronte all'altra, una coppia. Sui trentacinque e forse più. Quelle coppie che Norah Ephron, pace all'anima sua, avrebbe schifato.
Lei, di spalle, brutta (direi, se mi passate il francesismo, quasi un troiaio), anonima, capelli tinti rossi ricci e orecchini di quelli rotondi, a cerchio, grandi (descrivere un paio di orecchini per me è un'impresa). Di più non riesco a focalizzare.
Lui, invece, mi colpisce per un particolare: ha la giacca di quelle fosforescenti gialle dell'Anas*. Da lavori in corso. Probabilmente aveva appena staccato dal suo turno, non ci aveva nemmeno pensato a togliersela.
Altro particolare importante: non mangiano (cioè inconcepibile per me entrare in una kebabberia e non mangiare), bevono una lattina di birra Alhambra in due. La sorseggiano molto lentamente, più che altro per far “scorrere” parole.
Si stanno semplicemente creando un loro micro-mondo, dentro un fast-food e lontani (mentalmente più che fisicamente) dal trambusto della movida notturna, fatta di bar, bar, locale, bar, bar, locale, cicchettaro. Lui, presumibilmente schiattato dalla nottata di lavoro. Lei, aspettando, chissà da quanto, che lui finisse.
A loro non importa come sono vestiti, dove sono. Importa parlarsi e sorridersi goffamente, tra una sorsata ed un'altra.
Tentano solo di procrastinare il momento in cui la lattina sarà finita e dovranno ricrearsi un nuovo micro-mondo, un nuovo momento.
E il loro sguardo dice: “nun me ne frega un cazzo del mondo esteriore”.


Settimane fa ero alla fermata del bus con la mia coinquilina, aspettavamo che arrivassero altri amici per andare in un bar di tapas.
Passa una limousine.
- Guardaaa una limousine!!! Anch'io vorrei andare una volta in limousine col mio ragazzo, sarebbe una cosa romantica... - Mah, più che romantica mi sembra 'na cosa 'na freca pacchiana. - Scusa cos'è per te una cosa romantica?”

Bella lì. Non lo so. Anni a crogiolarmi sul nulla e non avevo mai pensato ad una questione così banale.
Forse perché semplicemente la risposta è non lo so.

Perché il romantico, e in generale i momenti belli, memorabili, stupendi, fantastici, ecc, della vita, quelli che ricorderai, che ti faranno sorridere senza particolare motivo, che ti faranno venire voglia di ascoltare Time of Your Life (vabbè non esageriamo, scherzavo), non li esperisci lì per lì. Non li sai. Diventano (in questo caso) romantici perché in partenza non erano così, non dovevano essere così.
Li diventano nell'azione che fai senza pensarci su, che fai perché sinceramente hai voglia di fare in quel determinato momento.
Poi, ma solo molto ma molto poi, dici “cazzo bella serata però oh!” e altre amenità del genere.
Per citare non il primo fesso passato per caso, anche Truffaut in Jules e Jim sosteneva che “La felicità si racconta male perché non ha parole, ma si consuma e nessuno se ne accorge.

Quindi cosa è romantico/memorabile?

Andare in bici con lei, seduta sul manubrio, che ti copre la strada, tra l'altro molto suggestiva, e ti indica dove andare, e urla, tra il divertito e lo spaventato, ad ogni incrocio.
L'accompagni a casa rischiando la drammatica caduta ad ogni metro, lo fai perché ti fa piacere stare con lei, in modi che in seguito valuterai inconvenzionali e irriverenti, senza secondi fini, e non programmi nulla di nulla.

Sedersi in un'infima piazza tra infima gente essendo anche tu un po' infimo, con le immancabili Peroni (importante è senza chitarre, bonghetti e casini vari) e parlare non sapendo che ora si sia fatta, ricreandosi lo stesso micro-mondo dei tipi del kebab. Non deve essere per forza un rapporto del tipo ci stupidiamo di chiacchiere ci stupidiamo d'alcool ci disinibiamo e poi scopiamo, né deve essere una sorta di sottotipo di cliché del corteggiamento. Non scegli il luogo, gli argomenti, né i fini, a volte nemmeno la tipa. Scegli la birra. Giusto quella.

Limonare appoggiati al suo portone, scoprendo in seguito che le 2 ante del suddetto portone erano aperte, e cappottandosi, alla Buster Keaton, l'uno addosso all'altra.
Il momento si sublima, è in un certo senso romantico, perché è l'imprevisto che lo rende tale. Imprevisto in questo caso comico.

Si nota che il leit-motiv è rappresentato dalle situazioni contraddittorie, le commistioni, le disarmonie o due opposti sentimenti che si attraggono, che siano postodimerda/situazionefiga, (pseudo)tragico/divertito o comico/antilimone.

Non è romantico tutto ciò già stabilito: i fiori, le cene, gli anniversari, le limousine, le scritte d'amore sui muri, i tramonti/albe in spiaggia (con annessi foto da postare). In pratica ogni cosa che indirizzi verso un dato fine. Non funziona così, è codificarsi verso un dato clichè che si considera “sublime” ma, che in fondo, fa anche un po' schifo.

C'è sempre un “imprevisto disarmonico” di mezzo: è un oggetto, un luogo o, nella maggior parte dei casi, sei tu.

Poi, ad ogni modo, mi ritengo brusco, grezzo e poco fine nel pormi, nei modi e nell'esperire, però, riflettendoci, possiedo un'estetica dell'immagine (seppur personalissima) e, soprattutto, della memoria.
Mia, personale, che puoi raccontare solo a freddo.
Quando le felicità si consumano e ne aspetti di nuove.
E se non arrivano sticazzi.
Magari lo sono (felice) adesso e lo esperirò (confesso che ho cercato come coniugare il verbo esperire) domani.

*molto probabilmente, date le mie precarie condizioni visivo-motorie, il tipo aveva solo un'elegante e sobria giacca gialla fosforescente. Ma mi piaceva pensare fosse un operaio dell'ANAS.

2 commenti:

  1. bello
    apprezzo l'elogio dell'imperfezione ;)
    ("siamto tutti tesori inesatti, voglio sperare")

    Giulia

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